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lunedì 5 gennaio 2015

La grande guerra - VV.UU. Roma due interessanti articoli di F. Merlo e V. Zagrebelski

                

I vigili di Roma e l’Italia del certificato IL SINDACATO DEI CODARDI di F. Merlo

AL SINDACO De Blasio, che è il loro capo, i poliziotti di New York hanno mostrato le terga. Al sindaco Marino, che è il loro capo, i vigili di Roma hanno mostrato il certificato. Esporre mille terga, per quanto possa apparire paradossale, significa metterci la faccia. Procurarsi mille certificati falsi significa al contrario nascondere la faccia, imbrogliare e degradarsi. Da un lato c’è il coraggio sfrontato della ribellione, fosse pure per ragioni non condivisibili, dall’altro lato c’è la viltà stracciona, fosse pure per ragioni condivisibili. Qui poi non c’è neppure l’assenteismo dei fannulloni, non c’è l’accidia del travet che Brunetta perseguitava come il pelandrone assistito. Questi sono i ceffi di Stato che usano la truffa del certificato-patacca come lotta sindacale, sino all’odioso ricorso, per disertare, alla donazione del sangue e, peggio, all’assistenza retribuita dei familiari disabili (legge 104), atti generosi ridotti a trucchi pelosi, norme di civiltà usate come forconi, la libbra di carne di Shylock il mercante di Shakespeare.

E la regia sindacale, che a New York rimanda alla ribellione ostentata dei simboli e mai all’insubordinazione agli ordini, a Roma rimanda al reato associativo che è molto alla moda nella capitale come ha denunziato anche il Capo dello Stato nel messaggio di fine anno. Ed è drammatico che a questo reato di falso, commesso insieme ai medici di famiglia, concorrano tutti i sindacati, per una volta uniti nella difesa della malattia simulata e spacciata per diritto alla protesta. Siamo ben al di là delle già ridicole indennità, da quella per tenere pulita e in ordine la divisa a quella per il servizio in strada (e dove, se no?), sino alla bizzarria poetica della “seminotte”, l’invenzione più creativa del contratto integrativo dei vigili, con inizio (non è uno scherzo) alla 15,48 che è, come dire, due minuti prima delle quattro meno dieci, un orario che evoca il binario 9¾ della stazione di Harry Potter dove si respirava corno di bicorno in polvere e tritato di unghie di cavallo. È un pentagramma di comicità corporativa che sicuramente sta facendo schiattare di invidia gli orchestrali e i coristi dell’Opera di Roma che l’umidità retribuita la subiscono soltanto al calar del sole e non al suo semicalar. A New York, secondo il sindacato dei poliziotti, de Blasio ha offeso la dignità degli agenti perché ha consigliato al proprio figlio (Dante, di origine afro-italiana) di “stare attento alla polizia”. A Roma, secondo il sindacato della polizia municipale, Ignazio Marino e il comandante Raffaele Clemente, da lui nominato, hanno offeso la dignità dei vigili perché li hanno obbligati alla rotazione nei quartieri trasformandoli così in presunti corrotti, senza più distinzione tra onesti e disonesti.
Ma cosa c’è di più disonesto di 835 certificati falsi? E come può un vigile restare legittimato come controllore delle regole se è il primo che le viola, e per di più in questo modo così meschino e cacasotto? Chi sceglie la ribellione deve pagarne il prezzo e non rifugiarsi nella miseria del certificatuzzo del dottorino di famiglia connivente e correo. E non sto parlando della ribellione del pugno chiuso alla Tommie Smith alle Olimpiadi del 1968, ma soltanto di chi fa sciopero sapendo che perderà il salario. Chi si ammala invece lo conserva. E addirittura lo ruba chi fa finta di ammalarsi. E va bene che la medicina è una scienza incerta, duttile e spaziosa, ma la flogosi che subisce l’influsso sindacale, l’agente patogeno che si scatena in un intero Corpo, imprevedibile, imprendibile e inqualificabile come un pirata della strada, è una deriva triste dell’Italia del certificato, quella della visita fiscale che non sgama più nessuno, e non solo perché avviene in fasce orarie governabili dal finto malato ma anche perché costa troppo alle strematissime amministrazioni.

Punito con pene irrisorie, quasi sempre con la multa, e in attesa di depenalizzazione, il falso certificato medico chiama, suscita e raduna tutti i fantasmi dell’Italia rancida dell’inguacchio, del disertore vile, del pavido che si rintana in un letto. Ma attenti a riderne e a evocare il solito Alberto Sordi e la commedia all’italiana, il paese degli assenteisti, dei sempre stanchi, degli sfaticati, del “dottore è fuori stanza”, della pubblica amministrazione che tutti vorrebbero giustamente riformare e qualcuno sogna di punire. La verità è che, morta ormai la faccia bonaria di Roma e persino della piccola corruzione tollerata, anche il poliziotto municipale si rivela più fellone dell’ultimo degli automobilisti che supera la fila invadendo la corsia d’emergenza. E il trucco della malattia non è più la risorsa dello studente pelandrone che, per marinare la scuola, alza il mercurio al caldo di un termosifone, o della recluta che si infilava il mezzo toscano sotto l’ascella, o ancora del coscritto che si infliggeva ferite di ogni genere sino al taglio di un dito e alla simulazione della pazzia. Qui è persino più deludente del Badoglio di Tutti a casa il sindacato che mette il falso certificato al posto del riscatto sociale di Di Vittorio e della concertazione di Luciano Lama.

C’è anche, nell’epidemia di finti malati, l’ennesima prova dell’inutilità dell’Ordine dei medici che non è intervenuto, non ha represso, non ha intimidito, non ha sospeso, e non ha neppure aperto un’indagine. Tutti ci aspettiamo che Marino licenzi, che il comandate Clemente punisca, che la magistratura metta sotto accusa e nessuno si domanda cosa pensano dei certificati bugiardi i presidenti dell’Ordine di Roma, Roberto Lala, e dell’Ordine nazionale, Amedeo Bianco, anche loro assenti ingiustificati in uno scandalo che dissolve nella nostalgia pure i versi di Gianni Rodari: “Chi è più forte del vigile urbano? / Ferma i tram con una mano. / Con un dito, calmo e sereno, /tiene indietro un autotreno: / cento motori scalpitanti / li mette a cuccia alzando i guanti. / Sempre in croce in mezzo al baccano: / chi è più paziente del vigile urbano?”.
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Come colpire la mancanza di senso civico
di Vladimiro Zagrebelsky
Il più irritante è il donatore di sangue. Gli altri con la falsa dichiarazione di malattia, si espongono almeno a sanzioni e al rischio del processo penale.

Ma il donatore di sangue di Capodanno pretende ammirazione e gratitudine pubblica. E si offende se lo si tratta da furbo assenteista, per avere scelto proprio quel giorno insieme a tanti altri colleghi rimasti a casa.

Gli ispettori e la Procura della Repubblica cercheranno di distinguere i veri dai falsi ammalati del Capodanno romano. Non sarà facile accertare a distanza di tempo se questo e quel vigile urbano fosse o non fosse veramente influenzato e così confermare o smentire l’attestazione di malattia.

L’indagine potrebbe però accertare chi e come ha organizzato il collettivo rifiuto del servizio cui i vigili sono chiamati.

Ma in questo come in tanti altri casi italiani, occorrerebbe guardarsi dall’affidarsi al solo processo penale, che ha regole e vincoli stringenti, presunzione di innocenza e la mannaia della prescrizione. Soprattutto, pendente il processo penale, i rimedi di cui l’amministrazione pubblica dispone si sospendono.

Ed anche dipendenti colpevoli rispetto al Comune di Roma rischiano di restare «in servizio» e poter quindi magari anche scioperare contro il loro sindaco.

Un’indagine sarebbe anche stata iniziata dal Garante per lo sciopero nei servizi pubblici essenziali. Giustamente, perché l’assenza di massa dal servizio ha tutta l’aria di essere stata concertata per sfuggire alle restrizioni all’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici (ed anche alle trattenute sul salario).

Una pluralità di indagini ancora una volta dovrebbe spingere a credere che ora si volta pagina, che l’amministrazione pubblica, l’amministrazione di tutti, si libererà dei dipendenti indegni e che l’esempio che darà Roma ammonirà tutt’Italia. Ma l’esperienza dovrebbe consigliare prudenza e persino scetticismo: non sulla buona fede dei vari investigatori, ma sull’idoneità dei mezzi. Gli strumenti repressivi, massimamente quello penale, ma anche quelli di carattere amministrativo con le sue sanzioni, sono destinati ad applicarsi a illeciti occasionali. Quando il fenomeno dell’illegalità e dell’infedeltà è massiccio, strutturale in una società, quegli strumenti si rivelano inadatti. Necessari, obbligati ma inadatti. Essi finiscono per delegittimarsi sotto l’accusa di colpire casualmente uno su diecimila e chissà perché proprio lui e non tutti gli altri.

A costo di ripetere cose da tanti già dette, non c’è salvezza senza etica pubblica, senso civico, senso del servizio pubblico. Tutto ciò manifestamente non è prevalente nella nostra società, ove tanti dipendenti pubblici consapevoli e orgogliosi del loro lavoro, devono convivere con altri che ricercano ogni occasione di sfruttamento dello Stato, delle amministrazioni pubbliche e dei vantaggi che essi offrono. L’abuso, non l’uso, dei diritti riconosciuti dalle leggi è sopportato, insieme alla tolleranza dei «furbi», persino invidiati per la loro spregiudicatezza. Fuori della pubblica amministrazione, nella cosiddetta società civile, l’evasione fiscale di massa dà il segno della mancanza di spirito civico, oltre che della debolezza di leggi e di apparati repressivi.

E’ possibile che l’episodio romano offra il destro alla rapida ed incisiva introduzione di nuove norme di riforma del rapporto di lavoro pubblico. E’ possibile che garanzie che meriterebbero di essere riconosciute, vengano invece abolite. Chi vi resistesse si troverebbe nell’opinione pubblica nell’intollerabile compagnia dei vigili romani e del corteo di loro simili che i giornali di questi giorni ci ricordano. Se vi saranno eccessi o approssimazioni si dovrà dire grazie anche a vicende come quella cui abbiamo assistito. E sindacati del pubblico impiego troppo a lungo conniventi e ora tardivamente allarmati, ne porteranno responsabilità e conseguenze. 

Ho iniziato questo articolo richiamando la irritazione. Altri concetti più gravi e impegnativi sarebbero stati appropriati, ma attenzione all’irritazione, quando diventa grave e diffusa e percorre l’opinione pubblica! Essa, benché giustificata, può essere cattiva consigliera. Anche di questo dobbiamo dir grazie quei vigili urbani di Roma (Roma Capitale, come ostentano sulla divisa anche i vigili infedeli). 

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