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lunedì 24 maggio 2010

23 maggio 1992 Capaci (da Repubblica.it)



Mafia e non solo mafia. Per Giovanni Falcone, per Paolo Borsellino, per tutti i cadaveri eccellenti che hanno segnato il calvario di Palermo. La mafia siciliana è stata il braccio armato, i nomi degli altri mandanti sono nascosti in carte abbandonate o perdute, dimenticate, eliminate o fatte sparire. Come quelle sul mancato attentato all'Addaura del giugno 1989.O come quelle sulla strage di via D'Amelio del 19 luglio 1992, atti lasciati marcire in un deposito, colpevolmente e "legalmente" occultati. Diciotto anni dopo Capaci ricomincia da lì, da quelle carte, l'indagine per scoprire chi ha ucciso il giudice Falcone.Un paio di settimane fa avevamo dato notizia della riapertura dell'inchiesta giudiziaria 1 su quei candelotti di gelatina esplosiva piazzati per far saltare in aria il magistrato: capovolta la scena del crimine (i sicari venuti da terra e non dal mare come si era sempre ipotizzato), testimoni che raccontano di "presenze estranee" a Cosa Nostra, il sospetto sempre più consistente che insieme a uomini di mafia ci fossero quel giorno anche uomini degli apparati. L'attentato dell'Addaura, seppur fallito, ha rappresentato l'inizio delle grandi manovre per assassinare Giovanni Falcone. Quella volta si è salvato grazie all'intervento di due poliziotti - Nino Agostino ed Emanuele Piazza - ma tre anni dopo chi lo voleva morto è riuscito a portare a termine la missione. E' una trama che parte dall'Addaura, passa da Capaci e poi si allunga fino in via D'Amelio. Ogni indagine su ogni massacro ha rilevato quelle "presenze estranee". Tracce sempre più evidenti. L'agente dei servizi con la faccia da "mostro" che è stato visto dalle parti dell'Addaura, l'agente dei servizi che stava "preparando" l'auto imbottita di tritolo che sarebbe servita a uccidere Paolo Borsellino, l'agente dei servizi che ha lasciato le sue impronte e i suoi numeri di cellulare sulla collina dove c'era Giovanni Brusca a premere il dispositivo per squarciare l'autostrada. In ogni strage c'erano loro.
Frammenti di questa nuova verità affiorano ormai da tutte le indagini. Con un ritardo di due decenni, i procuratori di Palermo e di Caltanissetta (i primi indagano sulle trattative fra i Corleonesi e pezzi di Stato, i secondi sull'uccisione dei magistrati) uniscono le risultanze delle loro investigazioni e orientano le loro mosse per scoprire chi e perché, oltre ai boss di Cosa nostra, ha voluto scatenare quella guerra in Sicilia e in Italia. L'unico responsabile individuato, Totò Riina - processato e condannato - adesso appare come uno dei mandanti e non più come il solo mandante. "Totò Riina è stato giocato, è stato messo nel sacco da qualcun altro che gli ha fatto fare quelle stragi e poi l'ha inchiodato per destinarlo al carcere eterno", confessa uno dei magistrati che ha seguito passo dopo passo le inchieste. Usato e sacrificato. Da altri poteri. Da chi si voleva liberarsi di Falcone e Borsellino ma anche dai Corleonesi. Con quelle stragi ha ottenuto due obiettivi: l'altro mandante ha ottenuto tutto.Diciotto anni dopo emergono altri frammenti di verità. Le famigerate trattative fra mafia e Stato (ne parla oggi il figlio di Vito Ciancimino, le hanno rivelate pentiti, tardivamente le hanno ricordate perfino ex ministri della Repubblica) si intersecano con le stragi, temporalmente e strategicamente. I personaggi che sino a qualche mese fa sembravano i più invischiati in questa cospirazione, come per esempio il generale Mario Mori e il colonnello Giuseppe De Donno, in realtà sembrano figure secondarie che hanno svolto un ruolo marginale nell'incrocio dei patti e dei ricatti. Sono ben altri i protagonisti - o così almeno sembra - di quest'intrigo che non è cominciato nell'estate del 1992 ma molto tempo prima. Protagonisti come quel "signor Franco" o "Carlo", l'alto funzionario dei servizi segreti che per tre decenni ha fatto accordi con Vito Ciancimino.Sono due i livelli del coinvolgimento degli apparati di sicurezza all'ombra delle stragi: ci sono i servizi sospettati di aver trattato con la mafia e ci sono i servizi sospettati di avere avuto un ruolo attivo negli attentati. Il compito di svelare tutti questi misteri è stato consegnato a un funzionario della Dia di Caltanissetta, uno solo. Da dodici mesi è l'unico poliziotto che indaga sulle stragi. E' l'altra faccia dello Stato diciotto anni dopo.Da una parte lo Stato sfila, commemora, ricorda i suoi eroi Falcone e Borsellino. Dall'altra affida la scoperta della loro morte a un solo giovane poliziotto che è anche probabilmente "spiato" - come i magistrati titolari delle inchieste - dai soggetti intorno ai quali investiga. Diciotto anni dopo Falcone e Borsellino. Ma si potrebbe fare un altro salto indietro nel tempo. Trent'anni dopo il procuratore Gaetano Costa e il presidente della Regione Piersanti Mattarella. Trentuno anni dopo il commissario Boris Giuliano e il consigliere istruttore Cesare Terranova. Trentuno anni dopo il segretario della Dc di Palermo Michele Reina. Ventotto anni dopo Pio la Torre e Carlo Alberto dalla Chiesa. Ventisette anni dopo il consigliere istruttore Rocco Chinnici. Sono stati solo Totò Riina e i suoi Corleonesi a segnare il calvario di Palermo

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