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venerdì 27 maggio 2016

L.104 - abusi e giurisprudenza di C. Audino - resp.uff. politiche per la disabilità CGILFP

Secondo l’attuale orientamento giurisprudenziale, l’abuso dei permessi della legge 104 viene riconosciuto dai Giudici anche reato, e non solo causa di licenziamento per il dipendente infedele.Così, il lavoratore che prende i tre giorni di permesso retribuito per poter assistere un familiare invalido, ma poi, durante la giornata (anche in un arco di tempo minimo), svolge altre attività oppure prende la valigia e parte con gli amici per una gita fuori porta, è passibile non solo di un procedimento disciplinare che lo può portare a perdere il posto, ma anche a un procedimento penale. Tale comportamento, infatti, costituisce anche una indebita percezione del trattamento economico ai danni dell’Inps.
Alla magistratura che, invece, viene chiesto di accertare l’abuso dei permessi della Legge 104 presi dal lavoratore dipendente per se stesso, sull’esposto avanzato dal datore di lavoro graverebbe anche l’ipotesi di accertamento sulla sussistenza, in capo al beneficiario dipendente, delle condizioni medico-legali  richieste dalla normativa, con il rischio di incorrere in ulteriori effetti di disciplina penale, oltre a quelli appena menzionati collegati al rapporto di lavoro.
Richiamo la vostra attenzione sulla recentissima sentenza Cassazione n. 9749 depositata il 12.05.2016, che trovate in allegato.
La posizione assunta dai Giudici in tale fattispecie si riallaccia a un’interpretazione ormai divenuta ostante nelle ultime pronunce, secondo cui l’abuso dei permessi 104 per assistenza non costituisce solo una violazione del dovere di fedeltà verso il datore di lavoro (il quale viene ingiustamente privato della prestazione lavorativa), ma un illecito posto ai danni della nazione intera, posto che, in tali frangenti, il trattamento economico viene solo inizialmente anticipato dal datore di lavoro, ma di fatto erogato dall’Inps e, quindi, a spese dei contribuenti. In pratica, il dipendente che abusa dei permessi retribuiti per l’assistenza ai portatori di handicap è un “peso sociale” che scarica, sulla collettività, il costo della propria malafede. 
La violazione dei permessi della legge 104 è, quindi, di un comportamento – per usare le stesse parole della Cassazione – “suscettibile di rilevanza penale” e, come tale, passibile di controllo anche attraverso un detective privato, al di fuori dell’orario di lavoro 
 
Le ultime sentenze sull’argomento:
Cass. sent. n. 9749/2016 del 12.05.2016
La Cassazione ha chiarito quando l’azienda può incaricare l’investigatore di controllare i dipendenti, definendo i paletti entro cui tale potere si esplica, onde non intaccare le garanzie concesse dallo Statuto dei lavoratori che vieta, come noto, i controlli a distanza. Per operare lecitamente, le agenzie investigative non devono sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria(che la legge riserva solo al datore di lavoro e ai suoi collaboratori). Il che significa che non possono verificare la durata o la qualità della prestazione del dipendente. Gli “ispettori privati” possono essere incaricati solo al fine di prevenire la commissione di illeciti da parte dei dipendenti stessi.  Anche il solo sospetto o la semplice ipotesi che tali illeciti siano in corso di esecuzione da parte del lavoratore consente all’azienda di incaricare gli 007, essendo il prestatore d’opera tenuto ad operare diligentemente per tutto il corso del rapporto di lavoro. I controlli eseguiti dalle agenzie investigative sui lavoratori sono ritenuti leciti dalla giurisprudenza anche se occulti o se posti fuori dall’azienda, con il solo limite di non poter invadere la privata dimora dell’interessato. In quella, a tutto voler concedere, può entrare solo il medico fiscale nel corso della visita di controllo.
 
Cass. sent. n. 5574/2016
L’utilizzazione dei permessi ai sensi della legge n. 104 del 1992 per scopi estranei a quelli presentati dal lavoratore costituisce comportamento oggettivamente grave, dimostrando "un sostanziale disinteresse per le esigenze aziendali" e integrando "una grave violazione dei principi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto di lavoro di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., tale da determinare, nel datore di lavoro, la perdita di fiducia nei successivi adempimenti e idoneo a giustificare il recesso dal contratto di lavoro. La Cassazione è andata anche oltre affermando che, ai fini della configurabilità del recesso per giusta causa, non occorre la prova che il dipendente abbia del tutto omesso l’assistenza, bensì può ritenersi sufficiente la prova della fruizione “di una parte oraria del permesso in esame per finalità diverse da quelle per il quale il permesso è stato riconosciuto”.
 
Cass. sent. n. 3065/2016
La fruizione dei permessi ex l. n. 104 del 1992, non presuppone un previo rientro in servizio dopo un periodo di assenza per malattia od aspettativa (non essendo – questa – una condizione prevista dalla legge), ma soltanto l’attualità del rapporto di lavoro. Di conseguenza, l’assenza dal lavoro verificatasi nel giorno in cui il lavoratore avrebbe dovuto far rientro al lavoro, al termine del periodo massimo di conservazione del posto di lavoro, se imputabile a permesso ex l. n. 104 del 1992, non è computabile ai fini del superamento del periodo massimo di comporto.
 
Trib. Genova, sent. del 21.10.2015
Il comportamento del prestatore di lavoro subordinato che, in relazione al permesso ex art. 33 l. 5 febbraio 1992 n. 104, si avvalga dello stesso non per l’assistenza al familiare, bensì per attendere ad altra attività, integra l’ipotesi di abuso del diritto, giacché tale condotta si palesa, nei confronti del datore di lavoro, come lesiva della buona fede, privandolo ingiustamente della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente, ed integra, nei confronti dell’ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione. (Nella specie, l’utilizzo improprio dei permessi 104 veniva reiterato e accertato con controlli investigativi).
 
Cass. sent. n. 8784/2015
Non esiste svago per chi prende i permessi della legge 104 dal lavoro per assistere il familiare disabile. Secondo la Cassazione, durante il periodo di congedo, non si può andare a ballare la notte in discoteca. È quanto risulta da una recente sentenza che ha confermato, in casi ritenuti “gravi” come questo, il licenziamento del lavoratore. Costituisce giusta causa di licenziamento – e quindi autorizza la cessazione in tronco del rapporto di lavoro – la condotta infedele del dipendente che, durante la fruizione di un permesso retribuito richiesto al datore di lavoro per assistere il parente con handicap, partecipa, in realtà, ad una serata danzante. E questo perché, secondo i giudici, quando si usufruisce di un giorno di permesso retribuito con la legge 104 del 1992, non è possibile dedicarsi, neanche a notte fonda, ad attività ludiche e, quindi, estranee alla finalità assistenziale per le quali tale legge è stata prevista. Insomma, le 24 ore devono essere a totale disposizione del parente incapace di attendere alle proprie attività. E il datore di lavoro che “peschi” il lavoratore, anche per un solo istante, in una occasione di uno svago o dedito ad attività personali può sanzionarlo con il licenziamento disciplinare. Si tratta, infatti, secondo la Corte, di una condotta contraria al cosiddetto minimo etico, che giustifica la sanzione espulsiva anche in assenza di previa affissione del codice disciplinare. 
Cass. sent. n. 4984/2014
Il controllo, demandato dal datore di lavoro ad un’agenzia investigativa, finalizzato all’accertamento dell’utilizzo improprio, da parte di un dipendente, dei permessi ex art. 33 legge 5 febbraio 1992, n. 104 (contegno suscettibile di rilevanza anche penale) non riguarda l’adempimento della prestazione lavorativa, essendo effettuato al di fuori dell’orario di lavoro ed in fase di sospensione dell’obbligazione principale di rendere la prestazione lavorativa, sicché esso non può ritenersi precluso ai sensi degli artt. 2 e 3 dello Statuto dei lavoratori.
 
Cass. sent. n. 8435/2013
Non configura il reato di falso ideologico in alto pubblico né quello di truffa la condotta del dipendente che, al fine di fruire dei permessi per finalità di assistenza al familiare affetto da disabilità (art. 33 comma 3 l. n. 104 del 1992), ometta di dichiarare che il familiare si trovi ricoverato in una casa di riposo, posto che quest’ultima non può essere equiparata ad una struttura di “ricovero a tempo pieno”, evenienza nella quale la legge esclude espressamente la spettanza del beneficio.
 
Cass. sent. n. 2072/2011
Integra il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, la condotta di colui che attesta falsamente, in una dichiarazione sostitutiva di certificazione ex art. 2 l. 4 gennaio 1968 n. 15, il diritto al riconoscimento dei permessi ex art. 33 l. 5 febbraio 1992 n. 104, per accudire un familiare portatore di disabilità, in realtà deceduto in epoca antecedente. La Corte ha chiarito che si tratta, infatti, di dichiarazione che costituisce presupposto indispensabile del provvedimento autorizzatorio, che ha natura pubblicistica, essendo la sua adozione collegata al riconoscimento di un diritto, mentre non rileva la natura privata del rapporto di lavoro del dipendente autorizzato.
 
Trib. di Pisa sent. N. 258/2011
Nel caso di specie, l’imputata ha utilizzato i giorni di permesso retribuito, ottenuti per l’assistenza ad un familiare disabile, per effettuare un viaggio di piacere. Il giudice di merito, in motivazione, ha contraddetto la tesi difensiva secondo cui i permessi retribuiti ai sensi del citato art. 33 (Legge 104 del 1992) possono essere utilizzati dal lavoratore anche per il recupero delle energie psicofisiche spese per il costante lavoro di cura ed assistenza al disabile.

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