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martedì 26 aprile 2016

Fondo PerseoSirio - newsletters Aprile 16

La gestione attiva è un valore aggiunto per i fondi pensione, ma bisogna delimitare bene  il suo ruolo.
Le turbolenze dei mercati azionari nell’ultimo periodo hanno riproposto la  questione del valore di una gestione attiva in merito a quale ruolo dovrebbe svolgere nella costruzione del portafoglio istituzionale.  La gestione attiva è una strategia di investimento con la quale il gestore prende una molteplicità di decisioni di investimento nel tempo, finalizzate a ottenere una performance superiore a quella di un indice di riferimento, cioè il benchmark prescelto.
Il concetto alla base di questa strategia è il seguente: il gestore espone il portafoglio a un rischio superiore a quello del benchmark; se il maggior rischio genera un maggiore rendimento, la strategia ha successo.
Ma quanto spesso tale strategia ha successo? A questa domanda non è possibile dare una risposta univoca: dipende dalla capacità del gestore e dalle condizioni dei mercati in cui opera.Carlo Svaluto Moreolo di IPE Investment e Pensions Europe ha chiesto un parere a manager,  leader e consulenti.
L’asset allocation è un processo attivo.
Diversi fattori hanno messo in discussione il ruolo della gestione attiva nella costruzione del portafoglio istituzionale. Uno è la regolamentazione. Ad esempio, i fondi pensione del Regno Unito sono  sotto pressione per far  investire i fondi  in veicoli passivi per limitare i costi, mentre il passaggio ad una remunerazione a costi fissi, invece sui risultati   ha ridotto l’incentivazione alla gestione attiva per i consulenti finanziari indipendenti (IFA).
La performance è stata un altro driver del cambiamento, soprattutto nei mercati più efficienti; l’indice S & P 500 è stato posizionato nella parte superiore dei gestori azionari degli Stati Uniti negli ultimi cinque anni, con l’eccezione del 2013. Inoltre,  a scanso di equivoci, i gestori attivi sono molto prudenti. In effetti, l’ investire è sempre più cauto che generalmente sceglie di farlo attraverso veicoli come Exchange Traded Funds (ETF). Ciò è dovuto, in particolare, al loro desiderio di controllare il rischio di portafoglio, dal momento che  questo investimento potrebbe aggiungere esposizioni indesiderate.
E’ importante sottolineare che la selezione dei fattori è un processo attivo, ed  è valido se l’allocazione è statica – con gli investitori  che assegnano il  loro portafogli azionario attraverso un mix di fattori, maturati in base all’ esperienza come la bassa volatilità, la qualità, slancio – o dinamici, applicati attraverso regole di riequilibrio sistematiche, o in funzione del ciclo economico.
Si pensa anche che  l’investimento intelligente è una decisione attiva, quando deve valutare  differenti schemi di ponderazione, come ad esempio la capitalizzazione di mercato, la parità di rischio o la massima diversificazione tra i singoli titoli e mercati  perché possono portare a differenti prestazioni.
Anche gli investitori più sofisticati con una forte competenza per le  asset allocation dinamichehanno interesse  per metodi e processi di asset allocation innovativi, con una preferenza per  l’absolute return su più approcci di riferimento tradizionali.
Di conseguenza, la distinzione tra gestione attiva e passiva è sempre meno netta. Il ruolo della gestione attiva non è scomparso; la sua attenzione si è appena spostata nel tempo. La scelta dei fattori e schemi di ponderazione e la ricerca di valore attraverso l’asset allocation sono tutte decisioni attive  su cui  gli investitori devono ora concentrarsi. Per i gestori patrimoniali, la sfida è quindi quella di fornire una combinazione di una vasta gamma di veicoli passivi e di competenze attive selezionate con una forte capacità di accompagnare gli aderenti  nelle loro decisioni di asset allocation e nella esecuzione dei programmi di quest’ultima quando poi questi ultimi devono scegliere il comparto di investimento.
Ci sono opportunità nei rischi
L’effetto QE ( Quantitative easing) sui mercati è ben documentato, e non sorprende che i mercati hanno prima girato in positivo, ma i rendimenti sono diventati negativi senza mettere in moto nessun processo inflattivo in barba alla teoria che vuole la moneta deprezzarsi quando aumenta il circolante.
Con il  QE, la conseguente deflazione dei prezzi, compressione dei rendimenti e la volatilità rendono incerti il panorama…
In particolare, il  2015 è stato generalmente un anno migliore, e la leggera ripresa che abbiamo visto significa che ci sono ancora possibilità nonostante l’inizio del 2016 non è stato soddisfacente. Ma, molti gestori attivi hanno fatto materialmente meglio rispetto agli anni passati.  Guardando indietro all’ultimo anno la   gestione attiva ha consegnato alcune centinaia di punti base al di sopra dei  benchmark di riferimento e possono essere piuttosto soddisfatti anche nella situazione di basso rendimento in cui ci troviamo.
Certo, gli investitori possono ottenere esposizioni efficienti attraverso strategie passive tradizionali e la scarsa diligenza nella selezione dei gestori, almeno nei paesi extraeuropei, rischia l’esposizione a strategie aggressive. L’opportunità di fare rendimenti basandosi su  strategie più aggressive o innovative , da strategie quantitative, rafforzano gli approcci tradizionali fondamentali incentrati sugli azionari, fino ai fondi a reddito fisso non vincolati che non possono essere collegati ad un punto di riferimento di benchmark tradizionale. Gli investimenti alternativi possono svolgere un ruolo fondamentale anche nella diversificazione e l’asset allocation attiva di questo campo è importante. Molti si avvicinano agli hedge found. L’hedge fund è un fondo speculativo i cui rendimenti non sono sempre correlati dall’andamento generale dei mercati.
Sono  fondi speculativi. Nati negli Stati Uniti negli anni ’50, questi fondi  presentano sia un elevato grado di rischio, sia la capacità di poter conseguire rendimenti positivi anche nel caso in cui le condizioni di mercato siano avverse
Per quest’ultima ragione confluiscono negli hedge fund investimenti da parte di investitori istituzionali. Per le PMI vanno bene anche gli investimenti in private equity. Private equity è l’attività dei fondi che investono in capitale di rischio per supportare la crescita delle imprese non quotate
Senza dubbio, una gestione attiva continuerà a svolgere un ruolo cruciale nel portafogli istituzionali con budget di rischio circoscritti, e forse eliminati negli anni a venire.
naio 2016 e liquidate nel 2015.
Le pensioni erogate, con esclusione L’Osservatorio statistico sulle pensioni dell’Inps ha reso noto ieri i dati aggiornati relativi alle pensioni vigenti al 1°gennaio 2016 e liquidate nel 2015.
Le pensioni erogate, con esclusione di quelle a carico dell’ex Inpdap ed ex-Enpals, sono 18.136.850. Di queste, 14.299.048 sono di natura previdenziale, cioè derivano dal versamento di contributi previdenziali, mentre le altre 3.837.802, che comprendono invalidità civili, indennità di accompagnamento, pensioni e assegni sociali, sono di natura assistenziale. Nel 2015, la spesa complessiva per le pensioni è stata di 196,8 miliardi di euro. Nel 2014 la spesa previdenziale secondo il 3 rapporto di Itinerari previdenziali è stata di 214 miliardi di euro, dati che se confermati dimostrando un trend in discesa dovuto principalmente al’innalzamento dell’età pensionabile.
Il 51,4% delle pensioni è in carico alle gestioni dei dipendenti privati.di quelle a carico dell’ex Inpdap ed ex-Enpals, sono 18.136.850. Di queste, 14.299.04
L’Osservatorio statistico sulle pensioni dell’Inps ha reso noto ieri i dati aggiornati relativi alle pensioni vigenti al 1°gennaio 2016 e liquidate nel 2015.
Le pensioni erogate, con esclusione di quelle a carico dell’ex Inpdap ed ex-Enpals, sono 18.136.850. Di queste, 14.299.048 sono di natura previdenziale, cioè derivano dal versamento di contributi previdenziali, mentre le altre 3.837.802, che comprendono invalidità civili, indennità di accompagnamento, pensioni e assegni sociali, sono di natura assistenziale. Nel 2015, la spesa complessiva per le pensioni è stata di 196,8 miliardi di euro. Nel 2014 la spesa previdenziale secondo il 3 rapporto di Itinerari previdenziali è stata di 214 miliardi di euro, dati che se confermati dimostrando un trend in discesa dovuto principalmente al’innalzamento dell’età pensionabile.
Il 51,4% delle pensioni è in carico alle gestioni dei dipendenti privati.
Le prestazioni di tipo previdenziale sono costituite per il 66,1% da pensioni di vecchiaia, pensioni anticipate e di anzianità,  erogate nel 55,4% dei casi a uomini. Il 7,4% sono invece pensioni di invalidità previdenziale (il 48,8% erogate a maschi), mentre il 26,5% pensioni ai superstiti (l’88,1% erogate a donne). Le prestazioni di tipo assistenziale sono costituite per il 22,3% da pensioni e assegni sociali (il 35,9% erogate a uomini) e il 77,7% da prestazioni a invalidi civili (il 40,1% conferite a maschi).
Le pensioni vengono pagate per la maggior parte nell’Italia settentrionale( 48,1%). Il 19,2% delle prestazioni viene erogato nel Centro Italia, e il 30,5% nel Sud e nelle Isole. Il restante 2,2% è rappresentato da pensioni erogate a residenti all’estero.
L’età media dei pensionati è di 73,6 anni, con una differenza fra i due generi di 4,5 anni (71 anni gli uomini e 75,5 le donne). È da rilevare infine che l’età media al pensionamento è in aumento, passando, per la pensione di vecchiaia dai 62,9 del 2010 ai 65,4 anni dei primi due mesi del 2016.
Alla diminuzione della spesa pensionistica complessiva fa riscontro una diminuzione delle singole pensioni. Se una pensone media è di circa 1000 euro, il 63,4% degli assegni (11,5 mln) è inferiore a 750 euro. Per le donne gli assegni inferiori a 750 euro sono oltre i tre quarti del totale (il 77,1%).
Probabilmente pochissimi di questi soggetti integreranno la pensione con quella complementare.
E’ un fatto che nonostante le cifre suesposte, le adesioni alla previdenza complementare ristagnano. Ma che dovesse finire cosi si sapeva. Le prospettive sulla previdenza obbligatoria  sono sempre più incerte e confuse ed i miglioramenti promessi sulla attenuazione di alcune  rigidità della legge Fornero difficilmente vedranno la luce, almeno a breve, nonostante lo sforzo dei sindacati, del presidente della commissione Lavoro alla Camera Cesare Damiano e in ultimo dal presidente dell’Inps Boeri. Attualmente gli aderenti hanno superato la soglia dei 7 milioni, una cifra imponente, ma che raggiunge solo il 30% dei lavoratori interessati.
La crescita così vischiosa delle iscrizioni ha spinto molti a suggerire strade che in qualche modo aggirano il principio della volontarietà dell’iscrizione. La strada intrapresa è quella dell’adesione per via contrattuale. Cioè in occasione dei rinnovi dei contratti di lavoro si iscrivono i lavoratori al fondo di categoria. E’ successo per gli edili prima e per i trasporti dopo. Non è una previsione contra legem perchè è sempre prevista la possibilità di recedere.
E’ una via percorribile, ma secondo me non proprio indispensabile. Basta una corretta comunicazione. Il  segnale in questo senso viene dal fondo dei dipendenti pubblici Perseo Sirio. Esso fa riferimento ad una delle categorie più diffidenti rispetto alla previdenza complementare. Senza contare quelle agguerrite organizzazioni sindacali di base che della lotta alla previdenza complementare ne hanno  fatto un cavallo di battaglia. Mentre al Fondo Cometa, quello dei lavoratori metalmeccanici, ha aderito l’80% degli addetti, con 410.000 iscritti, il fondo Perseo Sirio al ottobre 2015 mala pena raggiungeva 15.000 adesioni.
Il pronostico della vigilia era che non ce l’avrebbe fatta a raggiungere l’obiettivo fissato entro il 31 marzo 2016 delle trentamila adesioni, obiettivo invece raggiunto già a gennaio scorso.
Hanno pesato vari fattori, perché il resto della categoria rimane diffidente. Ma l’esito positivo invoglierà molti altri.
Il primo elemento a favore è stata la scadenza, stabilita al 31.12.2015, del beneficio del contributo mensile aggiuntivo a carico delle amministrazioni pari all’1.5% dello stipendio su base Tfs spettante ai lavoratori anziani in servizio al 31.12.2000. Poi la scadenza è stata prorogata per un quinquìennio.
Questo è il primo elemento del conto della serva.
Hanno pesato altri elementi, principalmente quello relativo, come si accennava prima all’incertezza del futuro pensionistico.
Poi c’è la constatazione che le alternative per costruirsi un gruzzoletto per affrontare la vecchiaia sono piuttosto esigue. L’investimento nei Bot non esiste più, come pure il libretti di risparmio. Cioè esistono ancora, ma non danno nessun interesse, anzi se si mettono mille euro in banca, poi se ne ritirano 950. Il classico guadagno a perdere. Pure l’altro bene rifugio, quello del mattone, si è sbriciolato. Se uno aveva comprato un appartamento nuovo nel 2007 pagandolo 375. 000 euro, se lo vuole rivendere oggi, al massimo gli offriranno 300.000 euro, se è così fortunato da trovare un acquirente. Nè è pensabile, se non si è esperti finanziari pur avendo qualche risparmio da parte, fare investimenti a caso, come i fatti legati ai fallimenti di lacune banche hanno dimostrato. I fondi pensione hanno dei gestori finanziari di tutto rispetto e finora non hanno deluso le attese.
Questi sono i punti – forza su uno scenario che continua ad essere  cupo e non c’è nessuna  reale ripresa economica in vista nonostante gli sforzi lodevoli fatti a più riprese.
Fa ridere il dato sull’aumento della fiducia dei consumatori.
Era 145.5 prima ed ora è 150. Una fiducia cresciuta dello 0.5 è un segnale, ma non di quelli che fanno impazzire.
8 sono di natura previdenziale, cioè derivano dal versamento di contributi previdenziali, mentre le altre 3.837.802, che comprendono invalidità civili, indennità di accompagnamento, pensioni e assegni sociali, sono di natura assistenziale. Nel 2015, la spesa complessiva per le pensioni è stata di 196,8 miliardi di euro. Nel 2014 la spesa previdenziale secondo il 3 rapporto di Itinerari previdenziali è stata di 214 miliardi di euro, dati che se confermati dimostrando un trend in discesa dovuto principalmente al’innalzamento dell’età pensionabile.
Il 51,4% delle pensioni è in carico alle gestioni dei dipendenti privati.
Le prestazioni di tipo previdenziale sono costituite per il 66,1% da pensioni di vecchiaia, pensioni anticipate e di anzianità,  erogate nel 55,4% dei casi a uomini. Il 7,4% sono invece pensioni di invalidità previdenziale (il 48,8% erogate a maschi), mentre il 26,5% pensioni ai superstiti (l’88,1% erogate a donne). Le prestazioni di tipo assistenziale sono costituite per il 22,3% da pensioni e assegni sociali (il 35,9% erogate a uomini) e il 77,7% da prestazioni a invalidi civili (il 40,1% conferite a maschi).
Le pensioni vengono pagate per la maggior parte nell’Italia settentrionale( 48,1%). Il 19,2% delle prestazioni viene erogato nel Centro Italia, e il 30,5% nel Sud e nelle Isole. Il restante 2,2% è rappresentato da pensioni erogate a residenti all’estero.
L’età media dei pensionati è di 73,6 anni, con una differenza fra i due generi di 4,5 anni (71 anni gli uomini e 75,5 le donne). È da rilevare infine che l’età media al pensionamento è in aumento, passando, per la pensione di vecchiaia dai 62,9 del 2010 ai 65,4 anni dei primi due mesi del 2016.
Alla diminuzione della spesa pensionistica complessiva fa riscontro una diminuzione delle singole pensioni. Se una pensone media è di circa 1000 euro, il 63,4% degli assegni (11,5 mln) è inferiore a 750 euro. Per le donne gli assegni inferiori a 750 euro sono oltre i tre quarti del totale (il 77,1%).
Probabilmente pochissimi di questi soggetti integreranno la pensione con quella complementare.
E’ un fatto che nonostante le cifre suesposte, le adesioni alla previdenza complementare ristagnano. Ma che dovesse finire cosi si sapeva. Le prospettive sulla previdenza obbligatoria  sono sempre più incerte e confuse ed i miglioramenti promessi sulla attenuazione di alcune  rigidità della legge Fornero difficilmente vedranno la luce, almeno a breve, nonostante lo sforzo dei sindacati, del presidente della commissione Lavoro alla Camera Cesare Damiano e in ultimo dal presidente dell’Inps Boeri. Attualmente gli aderenti hanno superato la soglia dei 7 milioni, una cifra imponente, ma che raggiunge solo il 30% dei lavoratori interessati.
La crescita così vischiosa delle iscrizioni ha spinto molti a suggerire strade che in qualche modo aggirano il principio della volontarietà dell’iscrizione. La strada intrapresa è quella dell’adesione per via contrattuale. Cioè in occasione dei rinnovi dei contratti di lavoro si iscrivono i lavoratori al fondo di categoria. E’ successo per gli edili prima e per i trasporti dopo. Non è una previsione contra legem perchè è sempre prevista la possibilità di recedere.
E’ una via percorribile, ma secondo me non proprio indispensabile. Basta una corretta comunicazione. Il  segnale in questo senso viene dal fondo dei dipendenti pubblici Perseo Sirio. Esso fa riferimento ad una delle categorie più diffidenti rispetto alla previdenza complementare. Senza contare quelle agguerrite organizzazioni sindacali di base che della lotta alla previdenza complementare ne hanno  fatto un cavallo di battaglia. Mentre al Fondo Cometa, quello dei lavoratori metalmeccanici, ha aderito l’80% degli addetti, con 410.000 iscritti, il fondo Perseo Sirio al ottobre 2015 mala pena raggiungeva 15.000 adesioni.
Il pronostico della vigilia era che non ce l’avrebbe fatta a raggiungere l’obiettivo fissato entro il 31 marzo 2016 delle trentamila adesioni, obiettivo invece raggiunto già a gennaio scorso.
Hanno pesato vari fattori, perché il resto della categoria rimane diffidente. Ma l’esito positivo invoglierà molti altri.
Il primo elemento a favore è stata la scadenza, stabilita al 31.12.2015, del beneficio del contributo mensile aggiuntivo a carico delle amministrazioni pari all’1.5% dello stipendio su base Tfs spettante ai lavoratori anziani in servizio al 31.12.2000. Poi la scadenza è stata prorogata per un quinquìennio.
Questo è il primo elemento del conto della serva.
Hanno pesato altri elementi, principalmente quello relativo, come si accennava prima all’incertezza del futuro pensionistico.
Poi c’è la constatazione che le alternative per costruirsi un gruzzoletto per affrontare la vecchiaia sono piuttosto esigue. L’investimento nei Bot non esiste più, come pure il libretti di risparmio. Cioè esistono ancora, ma non danno nessun interesse, anzi se si mettono mille euro in banca, poi se ne ritirano 950. Il classico guadagno a perdere. Pure l’altro bene rifugio, quello del mattone, si è sbriciolato. Se uno aveva comprato un appartamento nuovo nel 2007 pagandolo 375. 000 euro, se lo vuole rivendere oggi, al massimo gli offriranno 300.000 euro, se è così fortunato da trovare un acquirente. Nè è pensabile, se non si è esperti finanziari pur avendo qualche risparmio da parte, fare investimenti a caso, come i fatti legati ai fallimenti di lacune banche hanno dimostrato. I fondi pensione hanno dei gestori finanziari di tutto rispetto e finora non hanno deluso le attese.
Questi sono i punti – forza su uno scenario che continua ad essere  cupo e non c’è nessuna  reale ripresa economica in vista nonostante gli sforzi lodevoli fatti a più riprese.
Fa ridere il dato sull’aumento della fiducia dei consumatori.
Era 145.5 prima ed ora è 150. Una fiducia cresciuta dello 0.5 è un segnale, ma non di quelli che fanno impazzire.
del pubblico impiego ha raggiunto le superato le 30.000 adesioni ( si è a circa 40.000). Ciò costituisce un pendant positivo che lega le due cose.
L’Osservatorio statistico sulle pensioni dell’Inps ha reso noto ieri i dati aggiornati relativi alle pensioni vigenti al 1°gennaio 2016 e liquidate nel 2015.
Le pensioni erogate, con esclusione di quelle a carico dell’ex Inpdap ed ex-Enpals, sono 18.136.850. Di queste, 14.299.048 sono di natura previdenziale, cioè derivano dal versamento di contributi previdenziali, mentre le altre 3.837.802, che comprendono invalidità civili, indennità di accompagnamento, pensioni e assegni sociali, sono di natura assistenziale. Nel 2015, la spesa complessiva per le pensioni è stata di 196,8 miliardi di euro. Nel 2014 la spesa previdenziale secondo il 3 rapporto di Itinerari previdenziali è stata di 214 miliardi di euro, dati che se confermati dimostrando un trend in discesa dovuto principalmente al’innalzamento dell’età pensionabile.
Il 51,4% delle pensioni è in carico alle gestioni dei dipendenti privati.
Le prestazioni di tipo previdenziale sono costituite per il 66,1% da pensioni di vecchiaia, pensioni anticipate e di anzianità,  erogate nel 55,4% dei casi a uomini. Il 7,4% sono invece pensioni di invalidità previdenziale (il 48,8% erogate a maschi), mentre il 26,5% pensioni ai superstiti (l’88,1% erogate a donne). Le prestazioni di tipo assistenziale sono costituite per il 22,3% da pensioni e assegni sociali (il 35,9% erogate a uomini) e il 77,7% da prestazioni a invalidi civili (il 40,1% conferite a maschi).
Le pensioni vengono pagate per la maggior parte nell’Italia settentrionale( 48,1%). Il 19,2% delle prestazioni viene erogato nel Centro Italia, e il 30,5% nel Sud e nelle Isole. Il restante 2,2% è rappresentato da pensioni erogate a residenti all’estero.
L’età media dei pensionati è di 73,6 anni, con una differenza fra i due generi di 4,5 anni (71 anni gli uomini e 75,5 le donne). È da rilevare infine che l’età media al pensionamento è in aumento, passando, per la pensione di vecchiaia dai 62,9 del 2010 ai 65,4 anni dei primi due mesi del 2016.
Alla diminuzione della spesa pensionistica complessiva fa riscontro una diminuzione delle singole pensioni. Se una pensone media è di circa 1000 euro, il 63,4% degli assegni (11,5 mln) è inferiore a 750 euro. Per le donne gli assegni inferiori a 750 euro sono oltre i tre quarti del totale (il 77,1%).
Probabilmente pochissimi di questi soggetti integreranno la pensione con quella complementare.
E’ un fatto che nonostante le cifre suesposte, le adesioni alla previdenza complementare ristagnano. Ma che dovesse finire cosi si sapeva. Le prospettive sulla previdenza obbligatoria  sono sempre più incerte e confuse ed i miglioramenti promessi sulla attenuazione di alcune  rigidità della legge Fornero difficilmente vedranno la luce, almeno a breve, nonostante lo sforzo dei sindacati, del presidente della commissione Lavoro alla Camera Cesare Damiano e in ultimo dal presidente dell’Inps Boeri. Attualmente gli aderenti hanno superato la soglia dei 7 milioni, una cifra imponente, ma che raggiunge solo il 30% dei lavoratori interessati.
La crescita così vischiosa delle iscrizioni ha spinto molti a suggerire strade che in qualche modo aggirano il principio della volontarietà dell’iscrizione. La strada intrapresa è quella dell’adesione per via contrattuale. Cioè in occasione dei rinnovi dei contratti di lavoro si iscrivono i lavoratori al fondo di categoria. E’ successo per gli edili prima e per i trasporti dopo. Non è una previsione contra legem perchè è sempre prevista la possibilità di recedere.
E’ una via percorribile, ma secondo me non proprio indispensabile. Basta una corretta comunicazione. Il  segnale in questo senso viene dal fondo dei dipendenti pubblici Perseo Sirio. Esso fa riferimento ad una delle categorie più diffidenti rispetto alla previdenza complementare. Senza contare quelle agguerrite organizzazioni sindacali di base che della lotta alla previdenza complementare ne hanno  fatto un cavallo di battaglia. Mentre al Fondo Cometa, quello dei lavoratori metalmeccanici, ha aderito l’80% degli addetti, con 410.000 iscritti, il fondo Perseo Sirio al ottobre 2015 mala pena raggiungeva 15.000 adesioni.
Il pronostico della vigilia era che non ce l’avrebbe fatta a raggiungere l’obiettivo fissato entro il 31 marzo 2016 delle trentamila adesioni, obiettivo invece raggiunto già a gennaio scorso.
Hanno pesato vari fattori, perché il resto della categoria rimane diffidente. Ma l’esito positivo invoglierà molti altri.
Il primo elemento a favore è stata la scadenza, stabilita al 31.12.2015, del beneficio del contributo mensile aggiuntivo a carico delle amministrazioni pari all’1.5% dello stipendio su base Tfs spettante ai lavoratori anziani in servizio al 31.12.2000. Poi la scadenza è stata prorogata per un quinquìennio.
Questo è il primo elemento del conto della serva.
Hanno pesato altri elementi, principalmente quello relativo, come si accennava prima all’incertezza del futuro pensionistico.
Poi c’è la constatazione che le alternative per costruirsi un gruzzoletto per affrontare la vecchiaia sono piuttosto esigue. L’investimento nei Bot non esiste più, come pure il libretti di risparmio. Cioè esistono ancora, ma non danno nessun interesse, anzi se si mettono mille euro in banca, poi se ne ritirano 950. Il classico guadagno a perdere. Pure l’altro bene rifugio, quello del mattone, si è sbriciolato. Se uno aveva comprato un appartamento nuovo nel 2007 pagandolo 375. 000 euro, se lo vuole rivendere oggi, al massimo gli offriranno 300.000 euro, se è così fortunato da trovare un acquirente. Nè è pensabile, se non si è esperti finanziari pur avendo qualche risparmio da parte, fare investimenti a caso, come i fatti legati ai fallimenti di lacune banche hanno dimostrato. I fondi pensione hanno dei gestori finanziari di tutto rispetto e finora non hanno deluso le attese.
Questi sono i punti – forza su uno scenario che continua ad essere  cupo e non c’è nessuna  reale ripresa economica in vista nonostante gli sforzi lodevoli fatti a più riprese.
Fa ridere il dato sull’aumento della fiducia dei consumatori.
Era 145.5 prima ed ora è 150. Una fiducia cresciuta dello 0.5 è un segnale, ma non di quelli che fanno impazzire.

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