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mercoledì 10 giugno 2015

Pa: Cgil, Fp, Flc 'riforma' non rivoluzionaria, nega ruolo contrattazione

Il Disegno di legge sulla riorganizzazione delle Pubbliche Amministrazioni lungi dall'essere quella “ rivoluzione” con la quale è stata presentata dal Governo è invece l'ennesimo colpo al lavoro pubblico, ai cittadini, al paese.

La campagna della CGIL sulla Riforma della PA : Riformo Io ha una chiara direzione di marcia: Per una Pubblica Amministrazione al servizio del cittadino.

Una chiara direzione di marcia ed un obiettivo di nuova qualità del soggetto pubblico, attento certamente alla tenuta anche finanziaria del paese, ma che scommette sulla qualità:
Cambiare la PA perché sia efficace, vicina al cittadino ed alle sue domande, perché sia una risorsa per tutti e un'occasione di crescita.

In sostanza il cambiamento per una PA che funzioni meglio e che meglio interpreti la domanda di politiche pubbliche per la crescita.
Rappresenta una visione alternativa a quella adottata dai vari governi ( Berlusconi, Monti, Letta Renzi) che hanno annunciato “miracolose” ricette per la Riforma.

La riforma varata dal Governo Renzi ed all'esame del Parlamento si muove in assoluta continuità con quelle dei precedenti governi.
La continuità è rappresentata da una riforma:
1. che accompagna una politica di tagli lineari, (tutt'altro che una spending review) e per il 2016 sono all'orizzonte tagli di spesa pubblica per almeno  10 miliardi di euro per scongiurare l'aumento delle aliquote IVA;
2. che  non produce effetti sulla qualità dei servizi pubblici ai cittadini ed al paese, ma che allontana sempre di più le amministrazioni pubbliche dai territori: laddove le domande sociali dei cittadini debbono trovare risposta e laddove il sistema delle piccole imprese avrebbe bisogno di una “amministrazione amica”;anzi per l'ennesima volta si riforma “ il contenitore” ignorando il tema delle funzioni ( chi fa cosa).
3. che colpisce il lavoro pubblico privandolo della contrattazione e rendendolo subalterno alla politica ad iniziare dalla dirigenza, mentre anche per le scelte di politica economica continua a ridursi il numero dei dipendenti pubblici e continuano i tagli al funzionamento delle amministrazioni, ma non certamente agli sprechi
4. parla di innovazione, di digitalizzazione, ma opera nei fatti con misure che non producono reale innovazione, negano investimenti qualificati con il rischio che sparisca il “vecchio” senza che compaia il “nuovo”.

In sostanza sembra esserci un luogo comune in base al quale la riforma della PA è un “bene in sè” ed in tal modo si alternano i governi, si alternano le coalizioni al governo , ma la riforma della PA che ascoltiamo negli annunci e quella  che leggiamo si muove in assoluta continuità con quella che l'ha preceduta e con quella che la seguirà.

Per noi la riforma della PA è innanzitutto un tema di quali politiche pubbliche per la crescita civile ed economica il governo e le istituzioni pubbliche intendono adottare in una logica che certo sia attenta alle diverse funzioni, ma che inserisca i soggetti pubblici in un tessuto comune ed unitario di scelte e di politiche. Da questo inizio segue una riforma della macchina pubblica per adeguarla alle nuove politiche.
Questa riforma si muove in tutt'altra direzione:
Abbandona il territorio privandolo dei soggetti pubblici che garantiscono regole e accesso ai servizi.
Invece di avvicinare la amministrazione ai cittadini , si va nella direzione opposta ( non c'è più il livello provinciale e non si indica quale sarà il nuovo livello territoriale nel quale le amministrazioni verranno collocate ( regionale? Nazionale? Sub provinciale? Un mix di tutto?);
il Prefetto e per esso il Ministero degli Interni diviene l'unico capo della amministrazione statale sul territorio.
In sostanza è come se si dicesse si centralizza la responsabilità e la si mette in capo solo ad una carica: il prefetto ( per ora) e non contenti di ciò si riducono le prefetture e si immagina che tale sorte avvenga per tutte le amministrazioni statali sul territorio. Le ricadute sull'accesso dei cittadini alle amministrazioni, sul lavoro  e sulla sua dislocazione ( una mobilità obbligatoria come conseguenza di una nuova ondata di esuberi?)e sulla qualità dei servizi sono le vittime di questo processo. Processo che è sempre nella logica dell'uomo solo al comando!
Il preannunciato “ Punto unico di accesso alla PA” rischia di essere solo “ burocratico” e di allontanarsi da coloro che dovrebbero accedere con maggiore facilità alle PA!
Si dice ma si avvia un processo di informatizzazione.
Ma il livello di alfabetizzazione informatica e la strumentazione informatica della PA è sotto gli occhi delle statistiche del paese;
Informatizzare significa investire, qualificare il lavoro, cambiare i processi produttivi. Tutto ciò si scontra  con la locuzione “ senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica o con le risorse strumentali, umane e finanziarie vigenti” che prolifera in tutta la legge.
In sostanza alla fine quando e se  i provvedimenti attuativi verranno varati- dopo essere passati al vaglio di tanti organi – avremo meno amministrazioni pubbliche, meno lavoro pubblico nel territorio e meno servizi ai quali i cittadini potranno accedere e funzioni o privatizzate o scomparse o nella confusione delle diverse competenze.

Anche questo ddl come l'intervento di Brunetta,prova a  nascondere la debolezza della  politica al riparo della dirigenza. Come se il guaio della P.A. fosse la dirigenza.
Il tema del funzionamento e dei contenuti dell'operare delle PP.AA è la dirigenza?
Questo si vuol far credere e così per l'ennesima volta si mette avanti la riforma della dirigenza! Con una delega genrica nei contenuti che può divenire molto concreta nei successivi decreti.
C'è sicuramente bisogno di un intervento sulla dirigenza.
Noi pensiamo ad una dirigenza “ autonoma”, responsabile  pienamente del lavoro assegnato e del come lo svolge, che sia interlocutrice della politica e non succube della politica stessa.
Una dirigenza il cui portato normativo ed economico sia frutto della contrattazione, secondo regole comuni, e non di interventi legislativi la cui ossessione è proprio negare ogni dinamicità, ogni differenza che pure esiste  ed affermare la piena supremazia della politica.

In sostanza tutto rimanda alle scelte della politica. Ma così si entra nel cono d'ombra dei profili di costituzionalità sui quali peraltro la Corte Costituzionale si era già abbondantemente espresse.
Ci si entra scientemente, poi magari si discetterà delle responsabilità della Corte Costituzionale- come ormai si legge quasi quotidianamente sulla stampa.
L'ossessione “legificatrice” porta poi a paradossi destinati a burocratizzare tutto. Si pretende di cucire un vestito unico per una dirigenza “plurale” ( come plurali sono le amministrazioni pubbliche: i dirigenti non sono solo quelli amministrativi o quelli dei Ministri centrali) che certo avrebbe bisogno di idee guida, principi condivisi tra tutte le amministrazioni pubbliche ), non di soluzioni di dettaglio “mutuate sulla dirigenza ministeriale”.
Una dirigenza per la quale si recuperi lo spirito originario della Riforma degli anni 90 (contrattualizzare con regole comuni; diversificare; responsabilizzare;) che è antitetico a quello fin qui seguito ad iniziare dalla prima riforma della dirigenza varata dall'allora Ministro Frattini.
Tutte le riforme varate fino ad oggi si muovono nella direzione della subordinazione della dirigenza alla politica come se la dirigenza fosse un ostacolo ai voleri ( espressi e/o inespressi) della politica.
In questa logica poi vi sono elementi inquietanti: si trasforma la figura del Segretario Comunale da garante della legalità amministrativa ed interlocutore anche della stessa Autorità contro la corruzione a dirigente nominato dal Sindaco per la legalità.

Anche in questo caso la politica si libera di una figura scomoda!
O la dichiarazione di responsabilità esclusiva della dirigenza su tutti gli atti delle Amministrazioni (anche in questo caso mettendo al riparo la politica).

In questo “ mare magnum” è comparso a sorpresa un articolo di delega sulla ricerca.
Continuiamo a pensare che sia meglio un intervento organico sul quale far partecipare la comunità scientifica, gli enti, la politica, il Parlamento e non solo il Governo.
Ma anche in questo caso non si capisce verso quale direzione ci si muove:
Contrattualizzazione del rapporto di lavoro e tema della peculiarità contrattuale o ritorno al mitico “ Stato giuridico” che significa decontrattualizzare?

Tema strategico è  il lavoro pubblico.
Qui se possibile si va oltre la Legge Brunetta continuando non solo con il blocco dei contratti che dura dal 2010, ma aggiungendo la scomparsa della contrattazione in nome del primato della legge e quindi della politica.
Per capire dove vuole arrivare il Governo basta leggere quanto sull'argomento è contenuto nel ddl la Buona Scuola “ Le norme della presente legge sono inderogabili e le norme e le procedure contenute nei contratti collettivi, contrastanti con quanto previsto dalla presente legge sono inefficaci”.
Il contratto collettivo sparisce, spariscono le relazioni sindacali ed il diritto del lavoro è affidato alla “gentile concessione del governo di turno.
La  politica decide trattamento economico - con il blocco dei contratti- e gli istituti normativi con l'intervento per legge che annulla i contratti collettivi.

Così si trasforma la natura del soggetto pubblico addetto alla negoziazione (ARAN) che diviene “consulente” del Governo – che è bene ricordare- nel lavoro alle dipendenze delle PP.AA è datore di lavoro.
La stessa legge cambia punti peculiari della contrattazione: le sedi della contrattazione integrativa.
In sostanza si va oltre la riforma brunetta per giunta senza contratti.

Così si tenta di delegittimare l'istituto democratico della contrattazione con la quale i lavoratori partecipano ai processi di cambiamento essendo titolari delle proprie condizioni di lavoro, con la contrattazione.
Il sospetto è che il governo intenda tornare ad un  pubblico impiego subalterno perché privato del diritto a contrattare come si faceva nel passato e/o esempio paradigmatico di come si intende affrontare la crisi e di come si anticipano scelte che riguardano tutto il lavoro).
Un disegno da respingere con le proposte emendative e soprattutto con la mobilitazione per il rinnovo dei contratti e per una riforma che trasformi le Pubbliche Amministrazioni in soggetti di qualità vicini ai cittadini con la piena valorizzazione del lavoro.

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