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venerdì 26 settembre 2014

Rassegna stampa







  • Draghi: sottostimato effetto disoccupazione su inflazione
Alcuni dei fattori che le stime della Bce sull'inflazione hanno sottovalutato sono "la disoccupazione elevata e le dimensioni della capacità produttiva inutilizzata". Lo ha detto il presidente della Bce, Mario Draghi, a Vilnius.

Il presidente della Bce si aspetta una crescita economica modesta nel secondo trimestre e assicura che l'Eurotower è pronta ad agire ulteriormente, se sarà necessario. Il consiglio direttivo della Bce resta "unanimemente determinato" ad adottare "ulteriori misure non convenzionali" per fronteggiare i rischi posti da un periodo troppo lungo di bassa inflazione. Queste le parole di Draghi.
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  • Siamo disposti a trattare sui tempi del periodo di prova nelle assunzioni a tempo indeterminato e di una eventuale sospensione dell’articolo 18, ma la transizione deve essere breve e soprattutto ben delimitata nel tempo, dopodiché ai lavoratori devono essere garantite tutte le tutele valide per quelli che sono stati assunti prima di loro, reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa compreso. Altrimenti invece di migliorare la qualità del lavoro, si tornerebbe al lavoro servile. E’ questa - in estrema sintesi - la posizione espressa il, 24 settembre, dal segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, che ha partecipato alla trasmissione ‘Porta a Porta’, condotta su Rai 1 da Bruno Vespa e che viene rilanciata dalle prime pagine dei maggiori quotidiani.

"Sono mesi che diciamo di voler discutere tranquillamente sui contratti a tempo a tutela crescente per anzianità di servizio", ha detto Camusso. “Se il periodo di prova deve essere maggiore dobbiamo parlarne - spiega Camusso - sento parlare di tre o sette anni, non è la stessa cosa. Comunque possiamo discuterne". "Capisco che ci siano stagioni in cui l'articolo 18 non vale, ma vale un indennizzo" ha osservato il segretario della Cgil. "Quello che non va bene è che quel lavoratore non raggiungerà mai le tutele che hanno gli altri".

Per Camusso così il risultato sarà molto negativo perché "creiamo il lavoro più servile" mentre "a noi serve che sia più competente e professionale". Discutere di una fase transitoria, ma modernizzare il lavoro non significa renderlo servile. Per la Cgil ci vuole dunque "una riforma vera che riunifichi il mercato del lavoro". "Se l'unica certezza sono le tutele che scompaiono, ho qualche dubbio", ha detto Camusso che ha sottolineato come per il sindacato di Corso Italia sia molto importante comprendere se il contratto a tutele crescenti andrà a sostituire le numerose forme di contratto atipico in vigore. "Ci si prende in giro se si produce un'altra forma di contratto, ma rimane la giungla".

Tra le altre cose il segretario generale della Cgil ha detto che "non possiamo avere un mondo di precari senza speranza e il vecchio mondo che continua, né vorremmo che si unissero nella precarietà". L'articolo 18 non deve essere quindi "uno scalpo da portare all'Europa".
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  • La discussione tra Governo e sindacati, in particolare con la CGIL, sta diventando incandescente, scatenando un dibattito inenarrabile sui media intorno all’art. 18. Diciamolo una volta per tutte: il Jobs Act peggiora, senza risolverli, i problemi del mondo del lavoro, producendo ulteriore precariato. La libertà di licenziamento non aumenta l’occupazione ma è vero anche che porta di sicuro a un drastico depotenziamento della capacità di rivendicazione collettiva da parte di chi lavora. Un’altra ovvietà è che la precarizzazione del lavoro conduce alla riduzione generale dei salari, all’aumento del lavoro nero e a un tasso di disoccupazione che cresce man mano che la protezione del lavoro diminuisce.
Con queste premesse, semplici e lineari, appare ovvio che il dibattito sull’art. 18 è ideologico, ma non da parte nostra! Un dibattito intorno a cui si stanno scatenando forze politiche e sociali e creando alleanze e opposizioni. Questo Governo, con un uomo solo al comando, sta mostrando derive populiste e di matrice di destra, che invocano in continuazione l’ossequio al volere di 12 milioni di elettori, e che tanto richiamano le frasi del berlusconismo del tempo che fu. Metodi autoritari da editto bulgaro che non possono soffocare l’esigenza di una discussione franca e senza tabù.
Ci si chiede se queste modalità, che a volte assumono contorni esasperati, non nascano da un difetto di esperienza e di capacità di mediazione, con la principale forza di governo che trasmette segnali di nervosismo al seppur minimo contrasto, oppure derivino da una strategia studiata a tavolino. Noi siamo per la seconda ipotesi.
Con i Sindacati, ma con la CGIL in particolare, il confronto è inesistente e si sostanzia a tratti con toni beffardi e insultanti che la dicono lunga sulla considerazione che l’esecutivo ha della rappresentanza dei lavoratori, considerati ferrivecchi. E anche se questo governo è reduce da un inimmaginabile consenso ottenuto alle Europee che lo ha pienamente legittimato, sta evidenziando difetti di democrazia partecipativa. Renzi si sta svelando un abile stratega e sta utilizzando l’art. 18 per superare le divisioni interne al suo partito e per aprire la comunicazione con la destra e soprattutto per catturare quegli elettori.
Abbiamo combattuto in questi anni Tremonti, Brunetta e Berlusconi, contrastando tenacemente norme che hanno umiliato il mondo del lavoro. Dalla parte dei lavoratori abbiamo mantenuto la nostra autonomia senza confonderci con le beghe di partito, perché non siamo un partito. Ma il problema non è oggi l’art. 18, il cui ridimensionamento, e lo ripetiamo per l’ennesima volta come un mantra, non ha prodotto un solo posto di lavoro, ma come si affronta questa crisi devastante, senza un progetto organico, una ricetta risolutiva, da parte di alcun partito.
Come CGIL abbiamo invece una progettualità che si esplicita nel Piano del Lavoro nel quale abbiamo proposto una revisione degli ammortizzatori sociali, l’assegno di disoccupazione universale, un nuovo Statuto dei Lavoratori che estende i diritti ai precari e che comporta una drastica riduzione dei 46 contratti in cui oggi è imbrigliato il mondo del lavoro. Ma occorrono tavoli e confronti, un grande senso di responsabilità, una coesione finalizzata allo sviluppo, un lavoro di squadra di tutte le parti in campo, che passano dall’attenzione, all’ascolto e alla restituzione della dignità ai lavoratori.

C’è bisogno di condividere un progetto. E’ stata messa in piedi una macchina mediatica che ci definisce conservatori, difensori di privilegi di casta, ma la gente deve sapere che i nostri salari sono solo poco più che dignitosi, che arriviamo ad autotassarci per mantenere grande e utile con gli stessi servizi la nostra Organizzazione, nel tentativo di non snaturare una confederalità a cui tutte le categorie fanno riferimento, perché ne costituisce l’anima.

Questo Governo, come afferma Camusso, ha meno coraggio di quello che dichiara: gli manca la volontà di affrontare i problemi veri ovvero la corruzione e l’evasione fiscale. Noi non abbiamo nel nostro dna decisionismi e vuoti annunci. Abbiamo dato casa al lavoro, abitandola di dignità e di diritti. I temi su cui ci vogliamo misurare sono la legalità, la formazione e l’istruzione, l’industria e il suo sviluppo, una Pubblica Amministrazione degna di questo nome e un welfare a misura di cittadino, con una progettualità costruita ascoltando e raccogliendo i bisogni della gente e dei lavoratori.

E’ di queste finalità che si nutre il Piano del Lavoro della città metropolitana di Bari, che rilegge il territorio rendendolo intelligente e fruibile. E allora, andiamo avanti, tiriamo fuori l’orgoglio, con una forza più grande perché è in gioco non solo il nostro destino ma soprattutto quello del lavoro e dei lavoratori. Malgrado il Governo cerchi di indebolire il sindacato attraverso l’attenuazione decisa delle sue prerogative, su vari livelli, noi continuiamo e continueremo a lavorare come sempre e anche di più. Sempre nel nome di quella causa giusta che ha ispirato Di Vittorio e continua ad ispirare noi.

*Segretario Generale Cgil Bari
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  • Da quello che leggiamo nel disegno di legge delega abbiamo dei seri dubbi che questa riforma del mercato del lavoro possa migliorare la qualità e la stabilità degli impieghi. Così come il decreto Poletti si rischia, anzi, di aumentare la precarietà e soprattutto di fare un’operazione politica che in linea con quello che sta accadendo in altri paesi europei scarica ancora una volta sulla contingentazione dei salari e delle modifiche dei diritti del lavoro una strategia di uscita dalla crisi”. Così Serena Sorrentino, segretaria confederale della Cgil, intervenuta questa mattina su Radioarticolo1 (qui il podcast). Tra i punti della legge delega più controversi, per la Cgil c’è l’articolo che riguarda la revisione degli ammortizzatori sociali: “Abbiamo subito lanciato l’allarme – aggiunge la sindacalista – presentando anche degli emendamenti unitari. Pensiamo, tra le altre cose, che il fatto che non si prevede nessun istituto e nessuno strumento per le imprese sotto i 15 dipendenti rischia, con la scomparsa della deroga, di creare un grande problema sociale”.

    Il problema della revisione degli ammortizzatori sta anche nel fatto che il governo ha annunciato che sarà una riforma a costo zero: “I risparmi sulla cassa integrazione ordinaria andranno a finanziare i contratti di solidarietà – dice Sorrentino –. E certo è positivo che sia stato introdotto un emendamento da parte del governo di rifinanziamento e di maggiore ricorso ai contratti di solidarietà espansivi. Rimane però il problema che se veramente si vuole estendere, a esempio l'Aspi, anche ai precari– da quello che leggiamo per adesso ci si limita ai collaboratori il che sicuramente è un primo segnale – solo questa misura vale circa un miliardo e mezzo, forse anche di più, che bisognerà trovare nella legge di stabilità. Ma da quello che leggiamo per adesso nelle previsioni di spesa aggiuntiva della legge di stabilità e di risparmi e tagli, il titolo rifinanziamento degli ammortizzatori sociali e dell’estensione a una platea un po' più ampia di quella oggi che copre l'Aspi non c'è”.

    Altro tema centrale è quello delle politiche attive del lavoro: “Abbiamo un grande problema che è quello della ricollocazione dei lavoratori che fuoriescono dalla crisi e, soprattutto, del sostegno ai lavoratori discontinui; i lavoratori hanno bisogno di un grande processo di riqualificazione, di formazione, orientamento, bilancio delle competenze, presa in carico. E siccome si parla sempre di modello tedesco, vorrei ricordare che il nostro paese spende in tutto per le politiche attive circa 500 milioni di euro a fronte dei 5 miliardi che sono stati investiti in Germania e che nei nostri centri per l'impiego abbiamo in tutto circa 8600 persone, di cui 1.500 precari, mentre in Germania sono 110.000 i dipendenti pubblici che lavorano per l'agenzia del lavoro”.

    Non si può naturalmente prescindere dall’altro grande elemento di discussione, che riguarda l’articolo 18 e rispetto al quale una minoranza del Pd ha presentato un emendamento che prevede questo diritto per i neo assunti dopo tre anni.
    “La Cgil ha una sua idea su questo. – osserva Sorrentino – Noi pensiamo che la disciplina del licenziamento discriminatorio non può essere messa in discussione neanche in relazione al periodo che riguarda la tutele crescenti. Abbiamo anche dei dubbi sul licenziamento per motivi disciplinari. Per noi il lavoratore dovrebbe mantenere la doppia opzione tra il reintegro e l'indennizzo anche durante il periodo delle tutele crescenti”. Il punto delicato però è anche un altro, per la Cgil le 46 tipologie di lavoro esistenti e il decreto Poletti che liberalizza i contratti a termine per 36 mesi non rendono conveniente il ricorso al contratto a tutele crescenti: “Rischiamo insomma – chiosa la segretaria Cgil – di fare un'operazione che in realtà non fa pulizia nel mercato del lavoro e non riduce la precarietà”. E poi, ha concluso Sorrentino, “noi auspichiamo davvero che il Parlamento apra un dibattito che discuta di questo, che ci sia un confronto anche con le parti economiche e sociali. Se invece si dovesse procedere per decreto il sindacato certo non potrà stare fermo: c'è bisogno di una risposta all'altezza dell'attacco ai diritti e la Cgil, come ha dichiarato in queste ore, è pronta a farlo. Auspichiamo che questa risposta sia unitaria, ma se non dovesse esserci un percorso unitario la Cgil comunque andrà avanti da sola”.



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