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venerdì 17 maggio 2013

La proposta della CGIL per una modifica organica delle istituzioni democratiche

SEMPLIFICARE PER RAFFORZARE


Proposta per una modifica organica delle istituzioni democratiche

La crisi di legittimità che colpisce esponenti politici e partiti, percepiti come “lontani dalla realtà” e incapaci di farsi portatori delle istanze della popolazione ed espletare il loro ruolo di rappresentanza politica e sociale, si sta estendendo a tutte le istituzioni di cui non si percepisce più né l’utilità né il senso stesso, e i recenti scandali finanziari che hanno coinvolto parlamentari e consiglieri regionali hanno ulteriormente alimentato il risentimento popolare verso un sistema politico-istituzionale percepito sempre più come lontano ed “estraneo”, se non nemico.

Lo stesso risultato elettorale manifesta il sentimento “rabbioso” in una fase di grave crisi sociale, della rappresentanza e delle istituzioni, e nello stesso tempo una domanda, anche con forme nuove, di partecipazione e, ormai, una necessità indifferibile di cambiamento per ripristinare la stessa legittimità dell'organizzazione democratica. L'insoddisfazione politica, infatti, si è tradotta in un grave deficit di legittimità delle istituzioni in cui da un lato c’è un’ampia parte di opinione pubblica, disamorata dalla “cosa pubblica”, che associa agli scandali sull'uso dei fondi pubblici tutti i cosiddetti “costi della democrazia” e non percepisce più l'utilità né della rappresentanza né delle istituzioni democratiche (ritenute troppo costose a fronte dell'incapacità di governare i processi economici e sociali, e, ancor più, esose rispetto alla propria condizione materiale), e che non si sente più parte di un sistema politico sempre meno partecipato né, più in generale, di una collettività. Dall’altra c’è un più generale disegno che mira a smantellare le istituzioni democratiche, a cancellare i corpi intermedi, abolendo ogni forma di rappresentanza, e ridurre i servizi pubblici sul territorio, spogliandone i territori stessi, a favore di quelli privati; anche perpetrando una campagna denigratoria, ormai decennale, di tutto ciò che concerne le istituzioni pubbliche ad ogni livello con l'obiettivo di escluderne qualsivoglia forma di qualificazione possibile. Ed ecco allora il ridimensionamento delle istituzioni locali e la loro burocratizzazione, la mortificazione del Parlamento, i tagli agli enti locali e il ritorno al centralismo, perseguiti dal governo Monti. La CGIL ritiene di dover, a questo punto, portare a sintesi il lavoro da tempo avviato da diverse categorie e da diverse strutture confederali e avanzare al Paese un’organica proposta di modifiche istituzionali e della Pubblica Amministrazione in un ragionamento di semplificazione delle istituzioni finalizzato però al loro rafforzamento, sia nel senso comune che nelle funzioni, indispensabile per una politica di uscita dalla crisi e di attuazione del Piano per il Lavoro proposto dalla CGIL.

Questa organica proposta di riqualificazione delle funzioni pubbliche è necessaria, altresì, sia per rilanciare il valore della partecipazione democratica in quanto tale, che per garantire il valore di presidio della legalità delle istituzioni così necessario, purtroppo, nel nostro Paese.

Verso gli Stati Uniti d'Europa

Le sfide che il XXI secolo pone, a cominciare dalla crisi sociale, ambientale e economico-finanziaria, rendono non più rinviabile il completamento del processo di integrazione dei paesi europei nei suoi obiettivi politici, di unione federale di stati. Un'unione politica che dovrà necessariamente ridefinire la governance comunitaria, rafforzando il ruolo del Parlamento di Strasburgo, luogo di rappresentanza della popolazione, ripensando quello della Commissione e ridimensionando quello del Consiglio europeo. In questa prospettiva, va valutata anche la proposta dell'elezione diretta di una vera e propria costituente europea.

Una nuova Unione politica e sociale più forte, dunque, che sappia rispondere alle derive localistiche e ai particolarismi che nei periodi di grave crisi rischiano di prendere il sopravvento, promuovendo una maggiore cessione di sovranità da parte degli stati membri e un nuovo rapporto tra singoli stati e istituzioni europee. Questa prospettiva di maggiore integrazione è però oggi condizionata a un rapido cambiamento delle politiche di austerità e alla costruzione di una politica europea di creazione di nuovo lavoro oltre che alla realizzazione di una nuova architettura economica europea (BCE come Banca di ultima istanza, Unione bancaria, Eurobond..).

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Governo e Parlamento

Negli ultimi anni molto si è dibattuto sulla necessità di riformare la seconda parte della Costituzione, in particolare, gli articoli relativi alla forma di governo e al procedimento legislativo. In nome di una maggiore stabilità dei governi e di una maggiore velocità dell'iter di formazione delle leggi sono state avanzate numerose e articolate proposte e, perfino, l'elezione di un'assemblea costituente. Premesso un netto rifiuto di qualsiasi assemblea costituente, che rimetterebbe in discussione l'ordinamento repubblicano, di qualsiasi progetto di riforma che non sia rispettoso della procedura prevista dall’art. 138 della Carta e non sia proposto attraverso distinte leggi costituzionali per ogni specifica modifica, e anche del sistema presidenziale o semi-presidenziale, le uniche riforme possibili e auspicabili sono quelle che restituiscano centralità al parlamento con il superamento del bicameralismo perfetto.

In un periodo di grave crisi, quale è quello che stiamo vivendo, non è pensabile restituire legittimità al sistema politico-istituzionale con operazioni di ingegneria costituzionale che rompono l'equilibrio di poteri tra governo e parlamento in nome di una maggiore governabilità che può essere garantita solo dalla forza di partiti consapevoli della loro missione costituzionale e non da soluzioni tecniche che favoriscono la personalizzazione del potere e impoveriscono la rappresentanza democratica.

Centralità del Parlamento

L'esigenza prioritaria oggi è restituire centralità al Parlamento come luogo primario della rappresentanza politica, limitando la decretazione d'urgenza, prevista dall'articolo 77 della Costituzione, troppo spesso abusata, e modificando i regolamenti parlamentari per disciplinare in modo più restrittivo la possibilità di porre la questione di fiducia su qualsiasi provvedimento legislativo in corso di approvazione.

Riduzione dei parlamentari con il superamento del bicameralismo perfetto

L'unica riforma utile è l'istituzione della Camera delle Regioni e delle autonomie locali, composta da delegati dei consigli regionali. Una riforma che avrebbe il triplice obiettivo di ridurre il numero dei parlamentari, invocato a gran voce da più parti, di velocizzazione il procedimento legislativo, con una sola Camera cui spetta l'iniziativa legislativa sulle materie di competenza statale - lasciando alla seconda Camera la sola possibilità di esprimere pareri entro un termine stabilito - e di individuare l'indispensabile luogo istituzionale di codeterminazione e cooperazione tra Stato e Regioni e autonomie, chiamato a legiferare esclusivamente sulle materie di legislazione concorrente e, in modo paritario, sulle modifiche delle competenze istituzionali, sulla legge di stabilità e su eventuali modifiche della Costituzione.

L'istituzione di una seconda Camera rappresentativa delle autonomie è, inoltre, condizione necessaria per l'esercizio della “clausola di supremazia” dell'unità giuridica ed economica della Repubblica, senza tradire il principio della valorizzazione delle istituzioni locali, proprio del federalismo, e a prevenire i conflitti di attribuzione che la legislazione concorrente ha provocato in questi anni.

Regioni ed Enti locali

Titolo V

A oltre dieci anni dall'approvazione del nuovo Titolo V è necessaria una riflessione sull'assetto della Repubblica, un assetto che deve coniugare unità e decentramento istituzionale, in cui il policentrismo normativo sia caratterizzato dall'equilibrio tra unità e differenziazione, e in cui i differenti livelli di governo operino in modo sinergico e non in contrapposizione. In questi anni non si è raggiunto l'indispensabile punto di equilibrio tra valore unitario dei diritti e assetto decentrato

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delle competenze, punto di equilibrio che deve essere perseguito anche con la completa definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.

È necessaria una ridefinizione della ripartizione di competenze tra Stato e Regioni che, riducendo drasticamente le materie concorrenti, superi le ambiguità dell'attuale articolo 117 della Costituzione, disciplinando le modalità con cui si esercita la potestà legislativa di tali materie (evitando le distorsioni verificatesi in ambito sanitario), e che ne riconduca a competenza statale esclusiva alcune a partire da quelle su cui si era già espressa la CGIL al momento del varo della Legge Costituzionale quali, ad esempio, la tutela e la sicurezza sul lavoro e la previdenza complementare e integrativa.

La contraddizione di una doppia legislazione statale, caratterizzata dal decentramento normativo e dal centralismo amministrativo/finanziario, ha impedito la creazione di quel sistema decentrato e policentrico che solo un disegno organico di ridefinizione delle istituzioni locali avrebbe potuto garantire. Un disegno organico che, attraverso una chiara e completa definizione delle funzioni spettanti, sappia valorizzare ciascun livello istituzionale ottimizzandone l'autonomia, comprese le autonomie funzionali quali quelle delle istituzioni scolastiche.

Un federalismo unitario, cooperativo e solidale, per funzionare deve fondarsi su più pilastri che garantiscano un corretto equilibrio nella distribuzione delle funzioni tra centro e periferia: l'autonomia e l'autogoverno, la responsabilità dei diversi livelli istituzionali, e la cooperazione e la codeterminazione tra Stato, Regioni e autonomie locali (da realizzare con la Camera delle Regioni e delle Autonomie locali). È, inoltre, indispensabile rivedere il sistema fiscale definendo quale rapporto deve sussistere tra funzioni attribuite e risorse economiche necessarie al loro esercizio, prevedendo forme di autonomia impositiva che non ricadano, come oggi, soprattutto, sui redditi fissi.

Autonomie locali

In un'epoca caratterizzata dall'assenza di confini, da un'economia globale che condiziona le vite delle persone fin nella loro quotidianità, è indispensabile valorizzare le autonomie locali come istituzioni pubbliche vicine ai cittadini, capaci di porsi come motore di sviluppo delle economie locali.

È necessario un disegno organico che, partendo da una chiara definizione delle funzioni e dei ruoli, crei un sistema integrato di livelli istituzionali capace di governare e indirizzare i processi sociali ed economici mettendo al centro la cittadinanza e il territorio. Un sistema integrato che deve essere disciplinato da una Carta delle Autonomie che definisca, evitando inutili sovrapposizioni, le attuali funzioni di Province, Città Metropolitane e Comuni, attribuendo alle prime le sole funzioni di area vasta e rendendo obbligatoria (prevedendo incentivi), la gestione associata dei servizi per i Comuni (fino a 10.000 abitanti e non fino a 5.000 come previsto oggi), al fine di promuovere la realizzazione di economie di scala efficaci (salvo motivate eccezioni valutate in rapporto alla dimensione ottimale del bacino territoriale di riferimento). L'associazionismo comunale deve essere perseguito e rilanciato con un forte ruolo delle Regioni, in conformità con i progetti di sviluppo locale, al fine di creare spazi economici idonei alla gestione ottimale di determinate funzioni.

Allo stesso tempo sarebbe opportuno incentivare, ove sussistono le condizioni geografiche, la fusione dei Comuni più piccoli per creare comunità che possano gestire più facilmente l'amministrazione del territorio, mettendo in comune mezzi, professionalità e risorse.

In questo quadro le Province vanno superate come livello costituzionale, nella parte ordinamentale, e devono diventare organismi di seconda istanza espressione dei comuni compresi nell'area vasta. Organismi previsti da una legge della Repubblica che ne determinerà caratteristiche e funzioni, anche per definire gli ambiti di riorganizzazione delle amministrazioni statali sul territorio. In questa logica, è prioritaria l'effettiva istituzione delle Città Metropolitane, come livello di governo condiviso delle politiche e dei servizi nelle maggiori aree urbane del Paese.

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Regioni

Le Regioni, in un'architettura istituzionale coerente, devono essere esclusivamente organi di programmazione e di legislazione e non di gestione. Le funzioni amministrative devono essere messe in capo agli enti locali territoriali. Il rispetto di questa netta separazione dei ruoli funzionali, così come costituzionalmente previsti, eviterebbe parte delle sovrapposizioni che caratterizzano l'attuale assetto istituzionale.

Sarebbe inoltre utile una riflessione sugli Statuti delle Regioni ordinarie, nei quali si è realizzata un'eccessiva differenziazione tra i vari ordinamenti regionali, troppo spesso non giustificabili dalle singole peculiarità territoriali. In quanto alle Regioni autonome e alle Province di Bolzano e Trento, esse hanno prerogative e competenze anche diverse tra loro, legate alle ragioni storico-politiche, geografiche e giuridiche che hanno dato origine agli Statuti speciali e, collegato ad essi, hanno un diverso sistema di compartecipazione al gettito erariale. Dentro questo quadro è necessario sviluppare come elemento unitario di riforma il nesso autonomia-responsabilità-efficienza e avviare in questa prospettiva una riflessione sull’allocazione ottimale delle competenze.

La governance locale

L'elezione diretta di presidenti e sindaci ha migliorato la governabilità, ma ha sacrificato la rappresentanza democratica, dando origine a personalismi e leaderismi. È dunque opportuno ridefinire il rapporto giunte-consigli, o prevedendo l'elezione della Giunta da parte del Consiglio, anche per rafforzare il ruolo dei partiti a livello locale, oppure altre forme di potenziamento dei poteri dei consigli comunali e regionali.

Finanziamento della politica ed etica pubblica

Finanziamento della politica

È indispensabile una legge che, definendo la missione dei partiti in base all'art. 49 della Costituzione, ne disciplini modi e forme della partecipazione democratica interna, prevedendo che ogni formazione politica impegnata a “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” si doti di uno statuto registrato in cui sia esplicitato il “metodo democratico” con cui sono regolamentate le attività del partito (elezione e temporaneità della cariche, forme della partecipazione degli iscritti, controllo e distribuzione delle risorse, rapporti centro-periferia, organi e procedure di controllo interni ed esterni).

Una legge che disciplini e regoli i partiti politici è il presupposto imprescindibile per un sistema di finanziamento della politica capace di garantire uguaglianza nella partecipazione e trasparenza nella competizione e di scongiurare il ritorno ai partiti degli “ottimati” e alla politica permessa solo alle classi di reddito più elevato o a partiti “del principe”.

Lo Stato deve garantire a tutti i cittadini uno spazio eguale e trasparente per partecipare alla vita politica quotidiana e per poter concorrere alle cariche elettive. Questa garanzia può essere fornita attraverso la concessione gratuita di servizi (ad es. uso di luoghi pubblici, spazi per affissioni ecc), e la previsione di agevolazioni (es. spedizioni postali, editoria, ecc.), assicurando inoltre un'eguale presenza nei media. In particolare, durante le campagne elettorali va prevista la gratuità dei costi organizzativi e logistici per le formazioni politiche candidate, entro un determinato tetto di spesa fissato dalla legge. Queste concessioni, definite in una legge quadro nazionale che ne determini in modo esclusivo per ogni livello istituzionale, forme e modalità, e assicurate sia durante le campagne elettorali sia durante i periodi di attività politica quotidiana, al fine di favorire la continuità della partecipazione democratica dei cittadini alla determinazione della politica nazionale, devono sostituire le forme di finanziamento diretto e devono essere accompagnate da una nuova legge sul conflitto di interessi, sull'incandidabilità e sull’incompatibilità.

Il finanziamento privato deve essere disciplinato prevedendo rigorosi tetti massimi e l'assoluta trasparenza dei contributi (anche attraverso l'obbligo di pubblicazione e certificazione dei bilanci), e introducendo ipotesi di reato in caso di violazione della normativa sui trasferimenti. Devono essere, inoltre, previsti, tetti di spesa per le campagne elettorali ad ogni livello.

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Eletti ed etica della politica

La gratuità delle cariche elettive è anti-democratica e mina la libertà politica e l'uguaglianza delle possibilità, ma è necessaria una riduzione e una razionalizzazione delle indennità dei parlamentari e dei consiglieri regionali, prevedendo nella legge nazionale criteri oggettivi (ad esempio il tetto di 3 volte il reddito medio calcolato dall'Istat), dei contributi e dei rimborsi, e una loro maggiore regolamentazione che preveda innanzitutto l'obbligo di produrre giustificativi di spesa a fronte dei rimborsi ricevuti e il divieto di cumulo dei vitalizi.

Democrazia partecipativa e diretta

Le istituzioni, nazionali e locali, sono spesso chiamate ad assumere decisioni che incidono fortemente sulla vita di determinate e circoscritte comunità. In queste circostanze, come recenti avvenimenti hanno dimostrato, è necessario ipotizzare forme di coinvolgimento attivo della popolazione locale che permettano una condivisione delle scelte operate, in modo che la cittadinanza non percepisca un provvedimento adottato come un'imposizione “esterna”, e quindi estranea. La promozione di strumenti di democrazia partecipativa che, nell'ambito di determinate procedure, permettano l'incontro di “società” e “istituzioni rappresentative”, è, infatti, opportuna al fine di rendere i cittadini compartecipi e, quindi, anche corresponsabili di scelte importanti per la loro comunità.

Inoltre la partecipazione dei cittadini deve essere declinata anche in funzione dei processi di condivisione degli obiettivi da raggiungere e della valutazione dei servizi.

Per questo insieme di motivi è necessario varare una legge nazionale sulle diverse forme di democrazia partecipativa.

La Costituzione prevede la possibilità di presentare leggi di iniziativa popolare che però, troppo spesso, non arrivano ad essere discusse nelle aule parlamentari. Si dovrebbe, quindi, prevedere l'obbligo di calendarizzare le proposte presentate entro un determinato periodo dal loro deposito.

Vanno, inoltre, sicuramente estese le esperienze di partecipazione popolare alle scelte amministrative locali come il bilancio partecipato.

Infine, va previsto un rilancio del ruolo del CNEL precisandone i compiti.

Referendum

La Costituzione italiana prevede la sola possibilità di referendum abrogativo per leggi nazionali, con il necessario raggiungimento del quorum. L'istituto referendario come massima espressione del volere dei cittadini su un determinato tema dovrebbe essere modificato per rafforzarne la portata. Sarebbe utile, poi, prevedere che le richieste di referendum si possano effettuare di volta in volta su singoli temi, prevedendo il giudizio di ammissibilità della Corte dopo le prime 100.000 firme raccolte, al fine di evitare la dispersione di una chiamata alle urne su una miriadi di questioni, su cui è difficile per i cittadini ottenere una corretta informazione e raggiungere una vera e propria consapevolezza, o la vanificazione a posteriori di un processo di partecipazione. Sarebbe anche necessario aggiornare il numero di firme richieste e prevedere il quorum del 50% + 1 relativo non agli aventi diritto, ma ai votanti dell'ultima elezione dell'organismo che ha legiferato.

Infine, per promuovere forme di partecipazione attiva della cittadinanza alla politica locale, si potrebbe introdurre l'istituto del referendum deliberativo a livello comunale, la cui richiesta dovrebbe, anche in questo caso, essere esercitata di volta in volta in relazione a singoli e specifici temi che riguardano la vita della comunità locale, prevedendo un numero di firme necessarie variabile in proporzione alla popolazione residente nel singolo comune (5%) e il raggiungimento del quorum del 50% + 1 degli aventi diritto al voto.

Vigilanza e controlli

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Rafforzare le istituzioni pubbliche richiede anche un sistema di vigilanza e controlli tali da permettere sia una consapevole partecipazione democratica sia la prevenzione e repressione degli abusi – pubblici e privati – contrastando la tendenza alla compressione delle risorse dedicate.

Pubblica Amministrazione

Negli ultimi anni l'obiettivo della diminuzione del debito pubblico si è tradotto in tagli ingenti alla spesa pubblica, tagli che hanno coinvolto le amministrazioni pubbliche centrali, locali, della conoscenza e dei servizi.

Con la ricetta “anticrisi”, si è ridotto il perimetro pubblico con i tagli lineari e sono stati ridotti drasticamente i servizi alla persona.

Con i tagli lineari si è estesa l’inefficienza senza colpire gli sprechi, mentre si sono colpite le situazioni virtuose. In questa logica occorre perseguire una forte e strutturale riduzione delle consulenze e della esternalizzazione dei servizi.

Il lavoro pubblico è divenuto oggetto di attacchi ideologici e con il blocco della contrattazione si è dato un forte colpo al tenore di vita.

Ma non è riducendo il perimetro pubblico o riducendo i servizi che l'Italia uscirà dalla crisi.

Nuove istituzioni pubbliche devono farsi motore di sviluppo del Paese e per farlo, necessitano di investimenti e che sia potenziata e qualificata la loro azione. Come fa, ad esempio, la proposta avanzata da Flai e Fp Cgil sulla riforma dei centri per l'impiego (di cui va salvaguardata la prossimità ai cittadini), basata sul forte coordinamento dei vari soggetti istituzionali.

Ora occorre ricostruire un circolo virtuoso di riforma degli assetti istituzionali, riforma delle amministrazioni pubbliche, valorizzazione del lavoro.

Occorre agire su 5 versanti:

Uno stretto collegamento tra la riforma istituzionale e gli assetti delle PP.AA. da affrontarsi privilegiando quelle che offrono servizi alle persone

Il tema non riguarda solo il sistema dei servizi, ma anche la riorganizzazione della macchina centrale (i Ministeri) snellendone le strutture e qualificandone le funzioni con progetti di innovazione, utilizzando semplificazione, trasparenza, garanzia degli accessi e digitalizzazione.

La riorganizzazione dello Stato sul territorio deve partire dai bisogni e dalle necessità del cittadino/utente e delle imprese per poter individuare, anche tramite la negoziazione territoriale per lo sviluppo e la contrattazione sociale, gli obiettivi da raggiungere e i servizi su cui investire. La riorganizzazione dello Stato sul territorio non può prescindere da un progetto complessivo ed organico (Stato e autonomie locali) che corrisponda a criteri non solo statistici ed economici, ma che guardino principalmente ai bisogni. Le funzioni di controllo e indirizzo, restando quindi collocati centralmente, devono garantire con un “minimo comun denominatore” i diritti costituzionali. La gestione dei servizi da essi derivanti possono essere inclusi nel processo di riforma più complessivo anche attraverso l'individuazione di luoghi e funzioni comuni.

Occorre procedere alla individuazione di progetti mirati di trasparenza, semplificazione, formazione e qualificazione da attuarsi attraverso la contrattazione di secondo livello, individuando le forme del controllo sociale da parte dei fruitori dei servizi.

È necessario investire su tutte le professionalità, interne alle amministrazioni pubbliche e agli enti strumentali, anche attraverso l'omogenizzazione dei trattamenti contrattuali, per garantire i servizi e le prestazioni pubbliche ai massimi livelli. Si dovrà, inoltre, agire tramite gli istituti della riqualificazione, formazione, mobilità territoriale e intercompartimentale, attraverso la contrattazione nazionale ed integrativa, al fine di assicurare, anche nella fase di riorganizzazione, i livelli occupazionali.

In un quadro di rinnovamento del sistema di offerta dei servizi pubblici va rivisto il tema delle società e degli enti strumentali delle amministrazioni pubbliche che costituisce un consolidato sistema “parallelo” di offerta dei servizi pubblici, costituito con gli anni a causa delle politiche

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restrittive, e per colpa della cattiva politica, prestando la necessaria attenzione al tema della garanzia occupazionale e della continuità delle prestazioni dei servizi.

Una forte razionalizzazione e centralizzazione in ambito regionale o provinciale delle funzioni di supporto all'intero sistema amministrativo in tema di acquisti di beni e servizi (che devono tener conto anche della sostenibilità sociale e ambientale) e di reclutamento del personale.

Nuove regole sul lavoro pubblico a partire dalla riconquista della “contrattualizzazione” del rapporto di lavoro dopo la manomissione degli interventi del Governo Berlusconi.

In questo quadro va ricollocata l'apertura di una nuova stagione contrattuale legata ai processi di innovazione necessari al miglioramento delle Amministrazioni.

Una nuova declinazione del principio di valutazione della responsabilità della dirigenza:

• un chiaro e vincolato collegamento tra retribuzione e risultato in una logica di obiettivi/risultati trasparenti e controllabili;

• Un accorciamento della forbice retributiva tra dirigenza e non, da perseguirsi anche generalizzando il tetto retributivo già varato alle società partecipate

• Misure di etica della dirigenza (rotazione; no a pluriincarichi; chiarezza retributiva; no utilizzo consiglieri di Stato etc. negli uffici di diretta collaborazione; no chiamate fiduciarie; non spoils si a sistema di responsabilità e rimozione)

Le politiche del lavoro

E’ necessario accompagnare i processi di riforme istituzionali, di innovazione amministrativa e semplificazione istituzionale, affrontando non in modo “lineare” e non per tutte le realtà il tema del ringiovanimento del lavoro e quello della innovazione nella politica assunzionale, dando risposte positive al tema del superamento della precarietà attualmente esistente e impedendo il ricorso a forme di lavoro flessibile come forma di reclutamento del lavoro pubblico. In sostanza una misura alternativa a quella lineare portata avanti con la spending review, che produrrà, se non sarà profondamente modificata, gravi distorsioni e inefficienze, la chiusura di uffici e servizi, il licenziamento di lavoratori precari (oggi indispensabili ai servizi stessi), e il blocco totale del turn over.

Il tema quindi è: in un paese nel quale il lavoro pubblico è il più “vecchio” dei paesi OCSE occorre trovare una soluzione per un precariato senza regole e nello stesso tempo affrontare in una chiave di uscita programmata e mirata dal blocco del turn over politiche di innovazione nel campo delle assunzioni, affrontando anche per questa via il tema delle performances delle amministrazioni, procedendo ad assunzioni qualificate e mirate nelle professionalità e nei settori.

In sostanza una proposta di riforma delle politiche assunzionali e del reclutamento senza abbandonare la logica dell’art.97/Cost con la quale affrontare il tema del superamento della precarietà e l’accesso mirato di nuove e qualificate professionalità.

15 maggio 2013

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