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martedì 8 marzo 2011

Calamandrei - discorso in difesa della scuola pubblica


Discorso pronunciato da Piero Calamandrei al III Congresso in difesa della Scuola nazionale a Roma l'11 febbraio 1950

Cari amici, siamo riuniti qui in difesa della scuola e del libero pensiero. Perché difendiamo la scuola? Forse che la scuola è in pericolo? E quale è la scuola che difendiamo? Quale pericolo incombe sulla scuola che noi difendiamo? Può venire subito in mente che noi siamo riuniti qui per difendere la scuola laica, ed è anche un pò vero, ma non è tutto qui. C’è qualcosa di più serio e di più alto. Difendiamo la scuola democratica, la scuola che corrisponde a quella costituzione democratica che ci siamo dati, la scuola che è in funzione di questa costituzione, che può essere lo strumento, perché questa costituzione scritta sui fogli di carta diventi realtà. La scuola, come la vedo io, è organo costituzionale e cioè ha la sua posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che è la costituzione.
Come tutti sapete, nella costituzione nella sua seconda parte sono descritti gli organi attraverso i quali si esprime la volontà del popolo. Organi attraverso i quali la politica ? trasforma in diritto, le vitali e sane lotte della politica si trasformano in leggi.
Ora, quando vi viene in mente di domandarvi quali sono tali organi, a tutti voi verrà fatto di dire le Camere, la Camera dei Deputati, del Senato, il Presidente della Repubblica, la Magistratura, ma non vi verrà in mente di considerare fra questi organi anche la scuola, la quale invece è un organo vitale della democrazia , almeno così come noi la concepiamo, organo centrale della democrazia perché serve a risolvere quella che secondo noi è il problema centrale della democrazia: la formazione della classe dirigente. La formazione della classe dirigente, non solo nel senso di classe politica, di quella che siede in parlamento e ci lavora, magari urla, fa qualcosa che non si deve fare, ma è al vertice degli organi più importanti, costituzionalmente parlando. Ma anche la classe dirigente in senso più lato, quella in senso culturale, tecnico, chi a capo delle fabbriche, delle aziende, chi insegna, chi scrive, gli artisti, i professionisti. Questo è il problema della democrazia: la creazione di questa classe, la quale non deve essere una casta ereditaria, chiusa, un’oligarchia, una chiesa, un clero. No! Nel nostro pensiero della democrazia la classe dirigente deve essere aperta e sempre rinnovata dall’afflusso degli elementi migliori di tutte le classi e di tutte le categorie. A questo, a questo deve servire la democrazia: permettere ad ogni uomo degno di avere la sua parte di dignità. Ma questo può farlo soltanto la scuola, la quale è il complemento necessario dell’altro elemento portante della democrazia che è il suffragio universale. La scuola ha proprio questo carattere in senso alto, politico, perché solo essa può aiutare a scegliere, solo essa può aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che affiorano da tutti i ceti sociali. La scuola di stato, la scuola democratica è una scuola che ha carattere unitario, è la scuola di tutti, è la scuola che crea cittadini, non crea cattolici, protestanti, marxisti, liberali. No! Crea cittadini.
La scuola della repubblica, la scuola dello stato non è la scuola di una parte, di una filosofia, di un partito, di una setta, di una religione e quindi proprio perché le scuole private non potrebbero essere così, bisogna stare molto attenti che la scuola pubblica sia eccellente. Le scuole private possono anche essere un bene non sono necessariamente un pericolo, ma occorre che1) lo stato le sorvegli e le controlli e non favorisca un gruppo rispetto ad altri e 2) che le scuole private corrispondano a certi requisiti minimi di serietà , di organizzazione. Solamente in questo modo si può avere il vantaggio della coesistenza di scuola pubblica e scuola privata.

Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Ahimè, lo abbiamo esperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di partito. Ma c'è un'altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime... Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Ci si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza quelle scuole, c'è sempre, c'è stata perfino sotto il fascismo. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (questa naturalmente è un'ipotesi tutta teorica). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole. Le scuole del suo partito, della sua parte. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private: denaro, privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi di frequentare queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione questo è un punto centrale, bisogna discuterne. Perché questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: l'ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private il denaro pubblico".
E’la fase più pericolosa, il metodo più pericoloso, qui è il punto. Il denaro di tutti i cittadini, di tutti i contribuenti, di tutti i credenti delle varie religioni, di tutti gli appartenenti ai diversi partiti invece viene destinato ad alimentare l’interesse di una sole parte, di una sola religione,di una sola setta di un solo partito. Vi rendete conto che nella situazione catastrofica in cui si trova la scuola pubblica si arriva poi a cifre paurose.
Si parla di obbligo dell’istruzione in Italia. Ma mancano aule e si verifica una cosa straordinaria in Italia, c’è la disoccupazione degli insegnanti, mancano nell’istruzione fondamentale tanti ragazzi eppure ci sono migliaia di insegnanti disoccupati.
La democrazia è autogoverno di popolo, non in quanto il popolo si governi da sé, quella è democrazia diretta, ma in quanto il popolo sceglie da sé le persone che devono governarlo. Però perché si abbia vera democrazia non basta che questa scelta sia fatta dal popolo. Deve essere fatta in mezzo al popolo, cioè non soltanto che tutti i cittadini possano partecipare col voto alla scelta dei propri governanti, ma anche che possano assumere l’ufficio di governanti e possa farlo chiunque. Parrebbe che la democrazia sia pienamente attuata lì dove è giuridicamente riconosciuto ad ogni cittadino non solo l’elettorato passivo ma anche quello attivo. Ma le cose non stanno così. In realtà il sistema elettorale non è che uno degli strumenti giuridici formali perché la democrazia si attui. In realtà perché la democrazia si attui, è necessario che tutti i componenti del popolo siano messi in condizione di sapersi servire di fatto dello strumento elettorale per fini sostanziali ai quali è ordinato. Il problema della democrazia si pone dunque prima di tutto come un problema di istruzione. Per far sì che gli elettori abbiano la capacità di compiere una scelta consapevole è indispensabile che tutti abbiano quel minimo di istruzione e di informazione che valga ad orientarli fra le varie correnti politiche, a guidarli nel discernimento dei meriti e della competenza dei candidati, ma sopra tutto è indispensabile che a tutti i cittadini siano ugualmente accessibili le vie della cultura, per far sì che i governanti siano veramente l‘espressione più eletta delle forze sociali. Vera democrazia non si ha laddove, pur essendoci il diritto di tutti i cittadini ad essere elettori ed eleggibili, di fatto solo alcune categorie, una casta di esse, dispone dell’istruzione e dell’informazione sufficiente per essere elemento consapevole della lotta politica.
La democrazia non è come alcuni suoi critici cercano di raffigurarla la tirannia della quantità sulla qualità, del numero cieco sull’intelligenza individuale, sui pochi competenti colti rispetto alla massa. No! La democrazia deve, per dare i suoi frutti, essere consapevole scelta dei valori individuali, operati non in una certa cerchia, ma nell’ambito di tutto il popolo, reso capace dall’istruzione di giudicare i più degni.
Gli assolutismi siano essi teocratici o dittatoriali o subdoli tanto più sicuramente si mantengono quanto più profonda e più generale è l’ignoranza dei cittadini. Ma la democrazia non può reggersi a lungo sugli analfabeti, perché ha bisogno per vivere, non della soggezione dell’inerzia, ma del consapevole concorso attivo di tutti i cittadini. E poi c’è un altro pericolo, forse ancora più grave per quel che riguarda la politica della scuola. E’il disfacimento della scuola, il disfacimento morale, un senso di sfiducia, di cinismo, più che di scetticismo, che si va diffondendo nella scuola, specialmente fra i giovani ed è molto significativo. E’ il tramonto delle idee della vecchia scuola: la serietà, la precisione, l’onestà, la puntualità, il fare il proprio dovere, fare lezione e che la scuola sia scuola di carattere, formatrice di coscienze, di persone oneste, leali.
Si va diffondendo l’idea che tutto questo è superato, che non vale più. Oggi valgono gli appoggi, le raccomandazioni, le tessere di partito, una parrocchia, l’appartenenza. Questo è il pericolo! Il disfacimento morale della scuola. Non è la scuola dei preti che ci spaventa. Cento anni fa c’erano scuole di preti, ma ne uscivano fuori personaggi come Giosuè Carducci, quelli che hanno costruito l’Italia. Quello che sopra tutto spaventa sono i disonesti, gli uomini senza carattere, senza fede, senza vere opinioni. Questi uomini, che fino a poco fà erano fascisti e poi sono stati a parole antifascisti, ora sono tornati sotto vari nomi fascisti nella sostanza. E c’è un altro pericolo: di lasciarsi vincere dallo scoramento. Ma non bisogna lasciarsi vincere dalla scoramento! Vedete, fu detto tanto tempo fa, e giustamente, che chi vinse la guerra del ’15 ‘18 fu la scuola media italiana, perché quei ragazzi che morirono sul Carso, uscivano dalle nostre scuole, dai nostri licei, dalle nostre università e però, guardate che anche durante la liberazione e la resistenza è accaduto lo stesso! Ci sono stati professori, maestri che hanno dato esempi mirabili dal carcere al martirio per i loro studenti. Allora pensiamo a questi nostri ragazzi che uscirono dalle nostre scuole e pensando a loro non disperiamo dell’avvenire.
Siamo fedeli alla resistenza e alla costituzione. Bisogna continuare a difendere nelle scuole i valori della democrazia e la continuità della coscienza morale.

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