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venerdì 23 gennaio 2015

Fondo PerseoSirio newsletter

Conferenza stampa di fine anno

Nella conferenza stampa del 18 dicembre a Roma presso la sede dell’Anci Nazionale, il Fondo pensione Perseo Sirio ha presentato la chiara volontà di portare a successo il principale Fondo Pensione dedicato ai lavoratori del pubblico impiego.
Con il nuovo anno – ha dichiarato il neo presidente del Fondo Wladimiro Boccali – verranno aperti numerosi “sportelli informativi” nei più grandi luoghi di lavoro pubblici (Asl, Ospedali, Ministeri, Comuni e Regioni, Agenzie fiscali). Si aggiungerà poi un percorso di incontri con le parti costitutive del Fondo e il Governo. Percorso cominciato oggi pomeriggio, al termine della conferenza stampa, con un incontro presso l’Aran per dare avvio a un “tavolo” permanente (Anci, Regioni e Governo) che periodicamente monitorerà risultati e proposte per lo sviluppo del Fondo.
La necessità di “delineare un percorso comune per sviluppare la previdenza complementare nel settore pubblico anche attraverso incontri tra le parti costitutive e tra queste e il governo”, è stata anche confermata dal presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, Chiamparino in un messaggio inviato al Fondo. Mentre il presidente dell’Anci, Fassino, in un parallelo messaggio, ha tra l’altro espresso “l’auspicio che da parte dei Comuni si moltiplichi ora l’impegno affinché sia sempre più ampia la platea degli aderenti”.
L’obiettivo espresso dal presidente Boccali è di raggiungere le 30mila adesioni entro la fine del 2015, ovvero conquistarne almeno mille al mese. Tra gli strumenti messi in opera c’è anche una diffusa campagna d’informazioni rivolta ai pubblici dipendenti e alla diffusione della cultura previdenziale.
Anche se i pubblici dipendenti partono con l’handicap di far riferimento, in termini di previdenza complementare, ad una normativa diversa (Dlgs.124/’93) rispetto ai lavoratori privati (Dlgs. 252/’05) – e per questo intendono ora sollecitare l’Antitrust affinché chieda al Governo di superare questa discriminazione – tuttavia la proposta di risparmio previdenziale rappresentata dall’adesione a Perseo Sirio si mantiene conveniente. E per arricchirne il contenuto il Fondo ha raggiunto un accordo per l’estensione a tutti gli aderenti di una polizza sanitaria integrativa di base.
Infine, tra gli intervenuti alla Conferenza stampa anche il neo Commissario Covip, Massicci, che ha apprezzato i propositi e gli strumenti messi in campo per questa ripartenza della previdenza complementare nel pubblico impiego. Basile, della segreteria della Funzione pubblica della Cgil, ha voluto ricordare come tra gli elementi che giocano a sfavore ci sia il fatto che da otto anni non vengono rinnovati i contratti di lavoro dei dipendenti pubblici e come, a fianco dell’indubbia importanza di aprire “sportelli” per l’informazione in tutto il Paese, sia necessario che il governo mantenga gli impegni presi all’inizio degli anni 90, nell’ambito della grande riforma pensionistica, a favore di una strategia di lungo periodo fondata su due pilastri previdenziali.

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Pensione anticipata: stop alle penalizzazioni per 2 anni



Passa indenne al Senato l'emendamento che mette la parola fine alla penalizzazione sino al 2017. Dal prossimo 1° gennaio si potrà andare in pensione anticipata al perfezionamento di 42 anni e mezzo di contributi (41 anni e mezzo le donne) senza dover piu' tenere d'occhio l'età anagrafica per evitare di far scattare le penalizzazioni.

Vediamo dunque di tradurre in parole chiare cosa cambierà dando per scontato che, ormai, il testo della legge di stabilità è blindato e la Camera dei Deputati non potrà apportare, quindi, ulteriori modifiche all'emendamento.
Innanzitutto bisogna delimitare il campo di applicazione della misura. Essa riguarda i lavoratori che escono con la pensione anticipata, cioè con 42 anni e mezzo di contributi (un anno in meno per le lavoratrici) indipendentemente dall'età anagrafica, sia che si tratti di dipendenti sia di autonomi. La pensione anticipata è, del resto, per sua natura svincolata dall'età anagrafica (si può accedere anche a 58 anni di età purchè si siano raggiunti per l'appunto i 42 anni e mezzo di contributi) ma per disincentivare l'ingresso alla pensione la legge Fornero del 2011 ha previsto un meccanismo secondo il quale in assenza di almeno 62 anni di età l'assegno viene decurtato.
Di quanto? Il taglio è pari all'1% per ogni anno di anticipo sino a 60 anni e del 2% per ogni anno ulteriore rispetto all'età dei 60 anni. A conti fatti pertanto un lavoratore che ha 60 anni e decide di lasciare incorre in un taglio del 2%, taglio che sale al 4% se ha 59 anni e così via. Scopo della norma è, infatti, quello di incentivare il lavoratore a restare sul posto di lavoro sino, almeno, a 62 anni e limitare l'esborso per le Casse dell'Inps.
Queste sono le regole base. Non condivisibili per molti ma, almeno, chiare. Il legislatore tuttavia le ha subito modificate, complicandole notevolmente (con l'articolo 6, comma 2-quater del Dl 216/2011 convertito con legge 14/2012), prevedendo che il sistema di penalizzazioni sopra esposto non trova applicazione, sino al 31 dicembre 2017, qualora l'anzianità contributiva sia composta da sola prestazione effettiva da lavoro (piu' alcuni, ma limitatissimi e tassativi, periodi di contribuzione figurativa).
Tradotto in parole povere significa che sono graziati dalla penalizzazione solo gli "stacanovisti", quei soggetti che hanno lavorato ininterrottamente per 42 anni e mezzo (41 anni e mezzo le donne) senza mai aver perso o lasciato il posto di lavoro se non per malattia, maternità obbligatoria, servizio militare e congedi o permessi per l'assistenza di disabili. Periodi diversi da quelli predetti, se fruiti, vanno recuperati e sostituiti con periodi lavorativi. Ma questa "grazia" comunque termina il 31 Dicembre 2017.
Cosa cambia dunque con il ddl di stabilità? Che viene esteso questo beneficio a tutti i lavoratori. Dunque anche coloro che hanno periodi di contribuzione diversa da quella effettiva da lavoro potranno, dal 1° gennaio 2015, evitare la penalizzazione. Piu' semplicemente chiunque raggiungerà i 42 anni e mezzo di contributi (41 anni e mezzo per le lavoratrici) non avrà applicata la decurtazione. Ma resta, almeno per ora, il termine del 31 Dicembre 2017 con la speranza che, uscito il paese dalla crisi, un nuovo intervento elimini o sposti in avanti questo limite temporale.
La tabella sottostante mostra i cambiamenti se la modifica passerà definitivamente in Parlamento.

Restano da comprendere gli effetti di questa misura sugli assegni già decurtati prima dell'introduzione della novella. L'emendamento precisa infatti che la novità ha effetto dagli assegni con decorrenza dal 1° gennaio 2015. Quanto perso dai lavoratori che hanno visto l'assegno decurtato prima dell'entrata in vigore della misura non potrà essere, dunque, recuperato
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Per la pensione, dal 2016 occorre lavorare 4 mesi in più.


Il 30 dicembre 2014 è stato pubblicato sulla GU n. 330 il decreto interministeriale Mef-Lavoro sui nuovi limiti di età per aver diritto alla pensione.
La legge Dini aveva previsto che con cadenza decennale, un’apposita commissione avrebbe verificato gli effetti delle dinamiche demografiche ai fini della determinazione dei coefficienti di trasformazione. I coefficienti servono a trasformare il montante contributivo accumulato in rendita mensile. Il decennio stabilito per la verifica nasceva dalla considerazione che certi processi possono essere misurati solo in archi temporali sufficientemente lunghi. Viceversa Berlusconi nel 2010, già attanagliato dalle prime avvisaglie della crisi che sarebbe esplosa lì a poco, mandandolo a gambe per aria, stabilì che l’adeguamento alla speranza di vita dovesse essere triennale così che ogni tre anni sarebbero aumentati gli anni contributivi necessari per conseguire il diritto alla pensione. Oltre a ciò ha previsto anche la revisione dei coefficienti per il calcolo della pensione ( i coefficienti di trasformazione) che saranno più bassi. Si lavorerà di più e si prenderà di meno.
La riforma Fornero accelerò il meccanismo, disponendo dal 2019 scatti ogni due anni. Dopo l’adeguamento del 2013, che fu di tre mesi, il prossimo scatta nel 2016. La logica della disposizione è quella di  mantenere la sostenibilità finanziaria del sistema perchè più si  vive, per mantenere lo stesso numero di rate pensionistiche da pagare, bisogna andare in pensione più tardi. Avendo il lavoro, naturalmente.
La riforma Fornero lega il diritto alla pensione a due elementi:
• adeguamento alla speranza di vita ( si andrà in pensione sempre più tardi, di tre mesi in tre mesi (art. 24 D.L. n. 201/2011),
• il calcolo della pensione sarà fatto in base a coefficienti di trasformazione che saranno sempre più bassi.
L’Istat in base ai suoi calcoli ha stabilito, travalicando le scansioni trimestrali della Fornero, che il prossimo adeguamento sarà di 4 mesi. Dal 2016, cioè, ci vorranno 4 mesi in più di lavoro prima di poter andare in pensione . La notizia è stata divulgata addirittura un anno prima, per far digerire meglio l’indigesto aumento .
In effetti più aumenta teoricamente la longevità degli italiani, più aumenta concretamente il periodo in più da lavorare per avere una pensione non maggiore ma forse uguale a quella di prima.
Questi mesi aggiuntivi si sommano  al minimo d’età richiesto per la pensione di vecchiaia e al minimo di anni di contributi necessari per la pensione anticipata. Dal primo gennaio 2016 per i lavoratori dipendenti maschi, sia del privato sia del pubblico e ai lavoratori autonomi, per andare in pensione di vecchiaia non basteranno più 66 anni e tre mesi d’età, come fino alla fine del 2015, ma ci vorranno 66 anni e sette mesi (oltre ad avere 20 venti anni di contributi). Lo stesso vale per le lavoratrici del pubblico impiego, mentre per quelle del settore privato l’aumento, sempre nel 2016, sarà più accentuato perché segue uno specifico percorso di armonizzazione previsto dalla legge, che prevede un aumento da 63 anni e 9 mesi, valido fino al termine del 2015, a 65 anni e 7 mesi. Discorso analogo per le lavoratrici autonome che passeranno dagli attuali 64 anni e 9 mesi a 66 anni e un mese dal primo gennaio 2016.
Aumenta di 4 mesi anche il massimo di età fino al quale il lavoratore dipendente può chiedere di restare in servizio: dal 2016 sarà di 70 anni e sette mesi. E quattro mesi in più anche per accedere alla pensione di vecchiaia prevista per chi ha cominciato a lavorare dopo il 1995 (sistema contributivo). Si passa da 63,3 mesi a 63,7.
La pensione anticipata
Per aver diritto alla pensione anticipata gli uomini devono avere attualmente almeno 42 anni e sei mesi di contributi mentre alle donne bastano 41 anni e sei mesi. Dal 2016 il requisito sarà di 42 anni e dieci mesi per gli uomini e a 41 anni e dieci mesi per le donne.
La riforma Fornero prevedeva un sistema di penalizzazioni per chi, pur raggiungendo questo minimo contributivo, fosse andato in pensione con meno di 62 anni d’età. Con la legge di Stabilità 2015, fino al 31 dicembre 2017 non ci saranno più penalizzazioni.
Camillo Linguella
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