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venerdì 18 novembre 2011

Monti - il nuovo governo OPINIONI


da www.corriere.it
Da liberale e convinto sostenitore della società aperta Mario Monti ha scelto di intestare governo ai giovani e alle donne. Ha sostenuto che la loro attuale marginalità non è solo un gigantesco spreco di capitale umano ma una delle cause della mancata crescita. Da qui l’enfasi che il primo ministro ha voluto mettere nel proporre la piena inclusione delle donne in ogni ambito lavorativo/ sociale e persino l’idea di una tassazione differenziata. Dalla scelta pro outsider è emerso anche l’impegno a combattere il dualismo del mercato del lavoro che vede una parte degli occupati ipertutelata e l’altra priva di diritti e condannata all’invisibilità. Con questa impostazione Monti nel suo primo messaggio ha parlato ai senatori ma idealmente si è rivolto al Paese reale identificando i segmenti della società più interessati al cambiamento. Gli stessi più volte evocati nei discorsi e nell’analisi di Mario Draghi nella sua veste di governatore della Banca d’Italia.

Spenta l’eco degli applausi è lecito però raccomandare al governo, in nome dell’efficacia dell’azione di contrasto all’emergenza finanziaria, di non limitarsi al consenso della platea sociale di intonazione riformista. Il successo del percorso di risanamento non può prescindere dall’orientamento del ceto medio e dai riflessi che ha sui comportamenti dei partiti dell’ex maggioranza. Non a caso il presidente del Consiglio ha escluso tra le misure indicate ieri quella tassa patrimoniale che avrebbe creato sconcerto in larghi settori dell’elettorato di centrodestra e non solo in un ristretto circolo di super ricchi. La stessa precauzione, però, è bene che valga anche in materia di liberalizzazioni delle professioni. Se per riformare il mercato del lavoro il primo ministro ha promesso di ricercare l’accordo con il sindacato, simmetricamente nel procedere alla riforma degli Ordini sarebbe vantaggioso scommettere sul coinvolgimento e la maturità del mondo dei professionisti.

Per portare a compimento anche solo una parte dei provvedimenti che Monti ha illustrato ieri, il nuovo esecutivo dovrà evitare che alle preoccupazioni e alle riserve largamente presenti nei gruppi del Pdl si saldi il mugugno di un ceto medio allarmato dalla somma di misure come la reintroduzione dell’Ici, l’abolizione degli Ordini e l’azzeramento dei privilegi nel trattamento previdenziale. Bisognerà porre, dunque, molta attenzione alla tempistica dei provvedimenti e all’efficacia della comunicazione. Ben venga il completamento della spending review ma i tempi del consenso non sono quelli dell’accademia e di conseguenza i tagli al budget statale e un segnale forte in materia di lotta all’evasione è bene che anticipino eventuali aumenti delle entrate.

Resta il grande tema della riduzione dei costi della politica che rappresenta quasi un impegno elettivo per un governo composto da tecnici. Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella hanno su questo giornale a più riprese identificato le aree sulle quali intervenire con celerità e in maniera tangibile. Sia l’elettorato del Pdl sia quello del Pd sono largamente favorevoli e quindi si tratta solo di agire.


da www.lastampa.it
Sì, le parole pronunciate ieri da Mario Monti al Senato sono quelle che, da anni, aspettavamo di sentir pronunciare da un presidente del Consiglio. E questo non tanto per i temi che ha toccato, per gli obiettivi che ha indicato, per i principi che ha enunciato. Molte delle cose sentite ieri, negli ultimi dodici anni le avevamo già ascoltate da Berlusconi e da Prodi: la promessa di abbassare le aliquote, ad esempio, è stata la parola d'ordine di tutti i governi di centro-destra, mentre la formula trinitaria «rigore-crescita-equità» è stata il leit motiv dell'ultimo governo di centro-sinistra.

No, la novità del discorso di Monti è un'altra. La novità sta nell'assemblaggio, ben più che negli ingredienti. Quel che Monti ci ha offerto ieri è una visione dei problemi della società italiana al tempo stesso scontata e nuovissima. Scontata perché, come ha sottolineato egli stesso in un passaggio del suo discorso, le misure per uscire dalla crisi sono le stesse che «gli studi dei migliori centri di ricerca italiani» invocano da anni. Nuovissima perché mai, in nessun discorso dei precedenti presidenti del Consiglio, le priorità del Paese sono state enunciate con altrettanta forza, e in un ordine così preciso.

In questo senso la discontinuità c'è stata davvero, ed è stata una discontinuità con tutti i governi dell'ultimo decennio, non solo con l'ultimo governo Berlusconi.

Qual è il nucleo di tale discontinuità? Qual è l'idea forte, non ovvia, del governo cui il Parlamento si appresta ad accordare la fiducia?

Ognuno di noi, è chiaro, non può che aver provato un moto di gioia, per non dire di felicità, al solo sentir enunciare credibilmente, alcune idee-chiave: responsabilità, promozione del merito, lotta contro i privilegi, riduzione dei costi della politica, valorizzazione del talento dei giovani e delle donne. Però il punto cruciale, il punto che segna una vera svolta rispetto al passato, è la priorità assegnata alle misure per la crescita. Una priorità basata su una amara, per non dire spietata, constatazione riguardo al passato: «l'assenza di crescita ha annullato i sacrifici fatti». E al tempo stesso un messaggio di speranza, perché non si limita ad annunciare nuovi sacrifici, ma ci chiama tutti a raccolta, per far sì che i sacrifici servano a migliorare la nostra vita e quella dei nostri figli. Non a caso, cercando di definire il nuovo esecutivo, Mario Monti ha scelto l'espressione «Governo di impegno nazionale», a sottolineare il contributo attivo che spetterà ad ognuno di noi.

Nel suo discorso di insediamento Monti ha detto in modo piuttosto chiaro che il problema del nostro enorme debito pubblico non lo risolveremo né con una gigantesca imposta patrimoniale, né con lo smantellamento dello Stato sociale, né con la lotta all'evasione fiscale, ma adottando tutte le misure necessarie per modernizzare finalmente l'Italia e consentirle così di tornare a crescere. E fra tali misure ha indicato non solo quelle che producono effetti nel periodo mediolungo, come le liberalizzazioni, ma anche l'unica misura che ha qualche possibilità di produrre effetti significativi nel breve periodo: un significativo abbassamento delle aliquote che gravano sui produttori di ricchezza, ossia lavoratori e imprese.

L'idea centrale di Monti, in altre parole, pare essere quella di utilizzare sia i proventi della lotta all'evasione, sia i margini di manovra impliciti nella delega fiscale, per cambiare radicalmente la composizione del gettito: aliquote più basse su lavoratori e imprese, finanziate contrastando il sommerso e aumentando il prelievo su consumi e patrimoni. Sottostante a tale idea vi è la convinzione che la montagna del debito pubblico italiano - quasi 2000 miliardi di euro - non possa essere seriamente intaccata imponendo anni e anni di lacrime e sangue ai contribuenti, ma solo chiamando le migliori energie del Paese a far crescere un'altra montagna, quella della ricchezza prodotta. Tanto più che di tale ricchezza vi sarà sempre più necessità, visto che il nostro Stato sociale è largamente incompleto, privo com'è di ammortizzatori sociali universali e di politiche contro la povertà e la non autosufficienza.

«Vasto programma», avrebbe forse detto il generale De Gaulle. Ma è precisamente quello di cui l'Italia ha bisogno.

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