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giovedì 4 agosto 2011
Parole, parole, parole, soltanto parole, parole lo sai...
Ieri pomeriggio alle ore 17,30 alla camera il Pres. del Consiglio ha tentato di incantare l'Italia e i mercati. Spettacolo penoso della morte di un regime, mancava soltanto Apicella con il mandolino, una bottiglia di vino e quattro mignottelle dell'Olgettina, per farsi du spaghi.
da www.beppegrillo.it
L'ex presidente del Consiglio sta tenendo la sua orazione funebre alla Camera. Ha voluto recitare in diretta anche il ruolo della salma. Al suo fianco un Tremorti e un Frattini infranti, dal volto di cemento. Lo spread con i titoli pubblici tedeschi è di 393 punti. Siamo sull'abisso del default. La salma parla ad altre salme, tutti i parlamentari presenti sono infatti defunti evocati da un medium. Addio privilegi, addio poltrone, auto blu, doppi e tripli incarichi. La festa è finita. Lo sanno tutti, tranne loro. E' un funerale di massa pubblico in diretta. Gli annunci funebri sull'Italia sono oggi in prima pagina su tutti i giornali del mondo dal Financial Times all'International Herald Tribune. Quest'ultimo riporta nell'articolo dal titolo "Market assault Spain and Italy" : "Alcuni temono che, entro pochi mesi, l'Italia non sia più in grado di far fronte ai debiti contratti e sarà esclusa dai mercati internazionali". Dimettetevi, dimettetevi, finché siete ancora in tempo.
da www.repubblica.it
ROMA - Pdl e Lega serrano i ranghi e ostentano compatteza, le opposizioni rilanciano il loro grido allarme e la richiesta di discontinuità con il passato. Reagisce così il Parlamento all'atteso intervento di Silvio Berlusconi sulla situazione economica italiana e le crescenti difficoltà dei nostri titoli di Stato nel rapporto con i Bund tedeschi.
Il debutto di Alfano. Al suo esordio nelle vesti di leader del Pdl, l'ex ministro della Giustizia Angelino Alfano ha infiammato la platea del centrodestra con un discorso tutto incentrato sulla politica e il difficile passaggio in cui si trova il governo piuttosto che sulla situazione economica. Obiettivo centrale è stato quello di scacciare lo spettro di una possibile crisi, sgombrando il campo dall'ipotesi di dimissioni del premier più volte invocata negli ultimi giorni da più parti in nome anche dell'emergenza conti pubblici. "Abbiamo assistito sgomenti - ha detto Alfano - alle dichiarazioni di chi diceva che i mercati chiedevano le dimissioni del governo. Da quando sono i mercati a stabilire che i mercati vadano a casa? E il popolo? E ciascun cittadino che ruolo ha? Noi siamo affezionati a quella nobile idea che i governi sono espressione del popolo". "Noi siamo contrari - continua alfano - a fantomatici governi tecnici che non hanno a che fare col popolo. Gli italiani quando sentono parlare di governi tecnici devono pensare al profumo delle tasse".
L'asse Berlusconi-Bossi. Anche dalla Lega è arrivato pieno sostegno alla linea rassicurante ribadita dal premier a Montecitorio e il capogruppo Marco Reguzzoni ha sgombrato il campo da qualsiasi possibilità di un appoggio del Carroccio ad un governo di emergenza nazionale. "Non esiste una alternativa politica all'alleanza Pdl-Lega che è prima di tutto l'alleanza Bossi-Berlusconi: lo ripetiamo e chi ha orecchie per intendere le usi per capire bene". "La Lega - ha proseguito - è indisponibile ad appoggiare un qualsiasi governo se non quello che ha come fondamento politico l'alleanza tra Bossi e Berlusconi, si inganna chi si illude che esistano scorciatoie o alternative, governi tecnici o di Palazzo. Sarebbe questa l'instabilità politica che porterebbe il Paese nel baratro".
L'avviso del Carroccio. Un sostegno, quello del Carrocio, che sembra di capire non sarà incondizionato e avrà un prezzo. Forse anche per placare i malumori della componente 'maroniana' Reguzzoni ha invocato più volte una svolta, con l'accelerazione delle riforme, la deroga al patto di stabilità per i comuni virtuosi e la sostituzione dei ticket sanitari inseriti nell'ultima manovra con un inasprimento della tassazione sui tabacchi.
La preoccupazione di Bersani. Allarmatissimo invece, pur conservando il tratto ironico che ormai lo distingue, l'intervento del segretario del Pd Pierluigi Bersani che nel confermare la disponibilità a collaborare ha chiesto ancora una volta "un passo indietro" da parte del premier. Senza che ciò possa essere intepretato come un puntare al disastro del Paese. "Ho sentito qualche commentatore autorevole" e anche qualcuno di voi, ha avvisato, "dire 'l'opposizione non punti sul disastro del Paese'. Questo lo considero un insulto sanguinoso".
"Penso che l'Italia è seriamente nei guai", ha avvisato. "Il nostro paese - ha aggiunto - è colpito da una crisi che non ha precedenti: dopo 8 anni di vostro governo, abbiamo perso 6 punti di Pil e ne stiamo rimontando 2 scarsi, come nessun altro paese, e mentre gli altri la contrazione l'hanno assorbita, noi ancora siamo qui a sforzarci di recuperare ciò che non abbiamo recuperato". La crisi, ha affermato ancora il leader democratico, "non è solo speculazione, sono gli investitori e i nostri creditori che non si fidano più". E questa sfiducia "non è un umore passeggero, i creditori hanno tirato le somme di una vicenda già conclusa". Inoltre, ha concluso Bersani, "nel nostro paese sta montando una disperazione che sta bruciando lo spirito civico di cui avremmo bisogno per reagire".
Casini propone commissione bipartisan. Preoccupazioni, quelle del segretario del Pd, condivise da Pierferdinando Casini. Il laeder dell'Udc non si è spinto però a chiedere le dimissioni di Berlusconi, spiegando che quello attuale non è "il crepuscolo di qualcuno o di una formula politica ma è la fine di un'epoca cui dobbiamo rispondere con un supplemento di responsabilità e serietà". "Non servono governi tecnici - ha precisato - ma governi che nascano dal Parlamento e dai partiti che hanno a cuore l'interesse nazionale". Da qui la proposta di anticipare tramite decreto la parte della manovra relativa al 2013-14 e di istituire una commissione parlamentare formata da "rappresentanti di maggioranza e opposizione", con "60 giorni di tempo per elaborare proposte per la crescita" del Paese.
Dall'Idv appello a Napolitano. Andare al voto anticipato è invece l'unica soluzione possibile per uscire dal difficile momento secondo Antonio Di Pietro. 'Dobbiamo disfarci politicamente di lei, presidente Berlusconi. Il Parlamento dovrebbe disfarsi politicamente di lei, ma lei i deputati li compra... Eccoli accanto a lei i nuovi arrivi, direttamente dai Reponsabili...", ha tuonato il leader dell'Italia dei valori rivolgendosi poi al presidente delal Repubblica Giorgio Napolitano affinché "faccia come Ciampi, faccia come Scalfaro e ci sciolga, ci mandi a votare". Giudizi molto duri nei confronti del premier anche da parte del capogruppo di Fli Italo Bocchino, secondo il quale "questa è un crisi di credibilità interna ed internazionale", ma nelle parole di Berlusconi non c'è "nessuna volontà di cambiamento. Il cambiamento è una necessità dei paesi in crisi, o si si promuove o si subisce".
La delusione della Cgil. Negative pure le prime reazioni delle parti sociali. Secondo la segretaria della Cgil Susanna Camusso quello del presidene del Conisglio è stato "un discorso deludente, a partire dalla conferma di quanto fatto, come se la situazione del Paese non sia stata determinata anche e soprattutto da tre anni di negazione della gravità della crisi". "In particolare - aggiunge - è privo di proposte per la crescita e per la ripresa e ribadisce la politica iniqua ed ingiusta della manovra. Basta rammentare quanto questa pesa sui redditi da lavoro e sulle pensioni, mentre chi ha di più non contribuisce per niente. Non è di questo che ha bisogno oggi il nostro Paese. Suona addirittura grottesco, invece, che invocando la coesione il governo produca proposte di divisione come lo Statuto dei lavori, ancora una volta si cerca la divisione e non le risposte ai problemi".
da www.corriere.it
Le attese deluse
Le attese deluse
Dunque la casa continua a bruciare senza che nessuno metta mano all'estintore. Dal discorso in Parlamento del presidente del Consiglio era lecito aspettarsi molto di più. La decisione di parlare solo dopo la chiusura dei mercati poteva far supporre perfino qualche clamorosa sorpresa. Invece niente. Neppure una timida ammissione, verso un Paese che arranca nel pantano della crisi bombardato da quelli che chiamano «speculatori», di aver sbagliato qualcosa. Semmai il contrario: i guai sono del mondo intero, a cominciare dai più bravi (gli Usa), l'Italia è solida, le sue banche sono solide, i conti pubblici stanno meglio di quelli altrui, il nostro sistema pensionistico è invidiato da tutti... Dulcis in fundo , il governo resterà al suo posto fino al 2013.
Ma se il messaggio di stabilità che il premier intendeva lanciare ai mercati era tutto condensato in quell'« hic manebimus optime », stiamo freschi. Perché qui ha perfettamente ragione il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: per venire fuori da questa situazione serve uno sforzo straordinario di coesione nazionale. Alle sue parole ha fatto riferimento anche il Cavaliere, precisando che «oggi più che mai» è necessario «agire insieme» e che «tutti hanno il dovere di rimboccarsi le maniche».
Peccato che il segretario del suo partito, Angelino Alfano, abbia speso quasi tutto il tempo della propria replica per lanciare bordate all'opposizione. E peccato che il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, per tutta risposta, si sia detto disponibile «a fare un passo avanti» soltanto dopo «un passo indietro» della maggioranza. Ossia le dimissioni di Silvio Berlusconi.
Dall'appello di Napolitano siamo quindi lontani anni luce. Il Parlamento è spaccato e il governo senza idee. La strategia per fermare la tempesta perfetta va dai decreti sull'uso delle auto blu a improbabili tavoli con le parti sociali, peraltro immediatamente affondati da Bersani. Quando già un pezzo della manovra approvata un mese fa è evaporata con l'aumento vertiginoso degli interessi sui nostri titoli di Stato e lo stesso Berlusconi ha lasciato intendere che si dovranno fare interventi sul fabbisogno «nell'ultima parte dell'anno».
Insomma, il peggiore segnale per gli «speculatori». Ma anche per un Paese, oggi migliore di chi lo dirige, che in questa situazione meriterebbe dalla classe politica una risposta ben diversa. Come un gesto immediato. Non domani: adesso, prima che il mercato (quello stesso mercato che Berlusconi, come si è premurato di ricordare egli stesso ieri alla Camera, conosce bene avendo «tre aziende quotate») ci spinga nel baratro.
Per esempio, un decreto che anticipi gli effetti consistenti della manovra a prima del 2013-2014. Un provvedimento del quale qualcuno parla già, anche se incontrerebbe molti ostacoli nel governo, che tuttavia responsabilmente Pier Ferdinando Casini ieri si è detto disposto a «votare immediatamente». Non risolverebbe certo i nostri problemi alla radice. Ma almeno mitigherebbe la probabile delusione dei mercati. E con l'aria che tira, è già qualcosa.
da www.la stampa.it
ROMA
«Oggi più che mai dobbiamo reagire tutti uniti». Il Berlusconi che parla nell’aula della Camera è ben diverso da quello che ha abituato il Parlamento alle sue frequenti tirate polemiche contro l’opposizione: di fronte all’emergenza economica il messaggio che il presidente del consiglio vuole dare al paese e ai mercati che lo tengono sotto osservazione è quello di un governo che promuove l’accordo con tutte le forze politiche e con le parti sociali per facilitare la crescita economica.
Mano tesa alle parti sociali
«Certamente - dice il premier - è la crescita l’obiettivo fondamentale»; e per questo propone «un piano d’azione immediata per lo sviluppo». Berlusconi, che parla due ore dopo l’orario previsto, per evitare che il suo intervento si svolga a Borse aperte, si richiama a quella coesione nazionale più volte auspicata dal capo dello Stato, «un monito saggio che faccio mio - dice - e che raccolgo con convinzione». Nel discorso più impegnativo in tre anni di governo, Berlusconi propone un patto per approvare i provvedimenti necessari alla crescita dell’economia italiana: un’economia sulla cui vitalità Berlusconi giura a più riprese, sostenendo che «abbiamo i fondamentali economici solidi» e che anche le banche, il cui tonfo in borsa è «assolutamente eccessivo», sono in piedi.
"Non seguire il nervosismo dei mercati"
La crisi, però, non può più essere minimizzata, e Berlusconi, in passato riottoso ad ammetterne l’esistenza, questa volta cambia registro: «Nessuno vuole negare la crisi, tutti dobbiamo lavorare per superarla. State ascoltando un imprenditore che ha tre aziende in borsa e che è nella trincea finanziaria». L’analisi dei terremoti finanziari è in parte autoassolutoria: Berlusconi sostiene che a essere sotto tiro non è solo l’Italia e che la crisi «non è solo italiana ma planetaria». Il premier rivendica gli interventi fin qui approvati dal governo per correre ai ripari subito dopo gli sconquassi di borsa: la manovra di luglio, dice, è stata tempestiva ed è stata giudicata dall’Europa «adeguata e sufficiente». Ma la speculazione è andata avanti e ora bisogna reagire con interventi decisi e coerenti «ma senza inseguire il nervosismo dei mercati». Perché, secondo il premier, bisogna tenere nel giusto anche anche l’irrazionalità dei comportamenti degli investitori che «come spesso succede nelle crisi di fiducia, non hanno valutato la nostra solidità».
La riforma dello statuto dei lavoratori
Berlusconi non entra troppo nei particolari delle misure che ha in mente, non scopre troppo le sue carte, anche perché domani c’è l’incontro con le parti sociali. Ma su alcune cose è chiaro: fissa l’obiettivo di azzerare il fabbisogno per la fine del 2011, rispolvera la riforma dello statuto dei lavoratori («è venuto il momento che in Parlamento si verifichi il grado di consenso che può avere») e promette interventi anche sul versante dei costi della politica, come l’adeguamento delle retribuzioni degli eletti alla media europea, una sforbiciata alle auto blu, la riorganizzazione delle province. Ma Berlusconi è consapevole che tutto dipenderà dall’accoglienza che gli riserveranno le forze dell’opposizione e le parti sociali. Per questo insiste a lungo sulla necessità di mettere da parte le ostilità e lavorare insieme nell’interesse dell’Italia: «Tutti dobbiamo rimboccarci le maniche. la stabilità politica è l’arma vincente contro la speculazione. Non chiedo all’opposizione di condividere il nostro programma ma auspico che possa contribuire con sue idee e proposte. Il governo non resterà sordo alle vostre idee se saranno animate da spirito patriottico».
Domani la risposta dei mercati
L’idea di un «passo indietro», che poco dopo gli chiederanno sia Bersani che Di Pietro, viene rispedita al mittente in anticipo: «Il governo - dice Berlusconi - porterà avanti il suo lavoro fino al 2013. Nei 20 mesi che mancano il governo farà il governo, completerà le riforme, rafforzerà sempre di più il rapporto con le parti sociali e l’agenda per la crescita. Abbiamo la maggioranza, abbiamo la piena consapevolezza delle responsabilità e vogliamo riconsegnare agli italiani, tra due anni, un paese più forte». Domani il responso dei mercati. Nel frattempo, per convincerli, il ministro degli Esteri Frattini ha dato mandato agli ambasciatori italiani nel mondo ad illustrare alle autorità del paese dove risiedono gli obiettivi della manovra di bilancio, tra i quali il pareggio di bilancio al 2014, e di spiegare la solidità dei fondamentali dell’economia italiana.
Le opposizioni: il premier vada a casa
L’appello di Berlusconi alla collaborazione si infrange quindi contro il gelo di Pier Luigi Bersani e gli sfottò di Antonio Di Pietro. Pier Ferdinando Casini, invece, non chiude del tutto, chiedendo «un armistizio» senza, però, liquidare Berlusconi. E la reazione in Aula del presidente del consiglio non è certo di chi tende la mano: ride agli attacchi del leader Pd e allo show di quello Idv, mugugna infastidito all’insistenza con cui Casini parla di «fine di una stagione politica come il ’92». Già all’ora di pranzo si era capito che chi, dentro e fuori il Palazzo, auspicava un atteggiamento collaborativo del Pd sarebbe rimasto deluso. Bersani riunisce i deputati e conferma la linea: «L’Italia è fortemente impaurita, serve una novità politica». Che poi, come preferirebbe il leader Pd, la svolta siano le elezioni anticipate o, come chiede Walter Veltroni, un «governo istituzionale», la sostanza non cambia: il governo se ne deve andare e a quel punto il Pd «è pronto a fare un passo avanti». «Non è per polemica politica - chiarisce il leader Pd in Aula - o interessi di bottega che noi chiediamo una svolta politica. Il paese è veramente nei guai, gli investitori non si fidano più. I problemi non si risolvono con un discorso o un monitoraggio con le parti sociali ma serve un pò di tempo per una tregua con gli investitori ed i mercati e il tempo si può avere solo con una svolta politica». Ma è proprio sul nuovo inizio che la strada delle opposizioni diverge, come si vedrà anche in Aula: il Pd è pronto a sostenere solo «un governo nuovo» dove per nuovo si chiede un passo indietro di Berlusconi come di Maroni e Tremonti.
L'apertura a metà dell'Udc
Casini, invece, non crede che la fine di una stagione politica significhi «la fine del berlusconismo». «O ci assumiamo la responsabilità di disegnare una fase nuova o se pensiamo che la fine politica di qualcuno coincida con il successo degli altri, - sostiene il leader Udc - sottovalutiamo quello che abbiamo avanti e la crisi che stiamo vivendo». «L'armistizio» di Casini è in tre tempi: l’invito al governo a fare subito un decreto per anticipare parti della manovra; la proposta di una commissione bipartisan per la crescita. E come faro, resta la proposta di una fase di decantazione «tra i principali partiti, non con improbabili governi tecnici, ma governi che nascano dalla volontà del Parlamento, dei partiti». Toni agli antipodi, come al solito, rispetto a Antonio Di Pietro che, nel suo intervento, riesce nell’impresa di coniugare un amichevole "Caro Silvio" con la richiesta al Colle di sciogliere le Camere, suscitando in più passaggi l’ilarità di Berlusconi. «È vero - ammette l’ex pm - che c’è una crisi mondiale, ma c’è anche una crisi italiana. Ed è il suo governo che fa scappare gli investitori internazionali. È lei, insomma, il problema per questo Paese! Gli italiani vogliono disfarsi politicamente di lei».
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