Sud: Svimez, in piena recessione, nel 2009 PIL indietro di 10 anni
Dal nuovo rapporto sul Mezzogiorno: 7 milioni a rischio povertà, tasso di disoccupazione effettivo al 24%, industria a rischio estinzione mentre rallentano gli investimenti e calano i consumi
Un Sud in piena recessione che da otto anni cresce meno del Centro-Nord e il cui PIL nel 2009 è tornato ai livelli di dieci anni fa, a causa di un impatto negativo - generato dalla crisi economica - che ha colpito tutti i settori. Un'area dove 6 milioni e 830mila persone sono a rischio povertà e dove il tasso di disoccupazione ‘effettivo’ sfiora il 24%. E’ questa la fotografia scattata dal rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno 2010. Nel 2009 il PIL del Sud è calato del 4,5%, un valore molto più negativo del -1,5% registrato nel 2008, leggermente inferiore al dato del Centro-Nord (-5,2%). Il PIL per abitante è pari a 17.317 euro, il 58,8% del Centro-Nord (29.449 euro). A livello settoriale nel 2009 anche l'agricoltura meridionale è stata investita dalla crisi, con un crollo del valore aggiunto del 5%, contro il -1,9% del Centro-Nord. A fare le spese maggiori della crisi, l'industria, con un crollo del valore aggiunto industriale nel 2009 del 15,8%, mentre le produzioni manifatturiere hanno segnato un calo del 16,6%. In questa situazione, secondo la Svimez che rilancia il tema della fiscalità di vantaggio, l'industria del Sud è a “rischio estinzione”: dal 2008 al 2009 l'industria manifatturiera del Sud ha perso oltre 100mila posti di lavoro, di cui 61mila soltanto lo scorso anno. In questo modo il gap dell'industria meridionale con il Centro-Nord e il resto dell'Europa si è ulteriormente aggravato. Sempre per effetto della crisi, prosegue il rapporto, per la prima volta dalla fine della guerra il valore aggiunto del settore dei servizi è calato per due anni consecutivi, segnando nel 2009 - 2,7% (Centro-Nord -2,6%), con effetti molto più pesanti nel commercio (-11% contro -9%). Giù anche turismo e trasporti (-3%) e intermediazione creditizia e immobiliare (-1,7%). Circa 88mila i posti di lavoro persi nel settore al Sud (-1,9% rispetto al 2008), con punte del -3,9% nel commercio, il doppio che al Centro-Nord (-1,7%), concentrate soprattutto nel lavoro autonomo. Due le cause principali dell'andamento recessivo spiega il rapporto: investimenti che rallentano, famiglie che non consumano. Queste ultime infatti hanno ridotto al Sud la spesa del 2,6% contro l'1,6% del Centro-Nord. Mentre gli investimenti industriali sono crollati del 9,6% nel 2009, dopo la flessione (-3,7%) del 2008. Forte l'impatto sull'occupazione anche se la disoccupazione cresce di più al Centro-Nord. Nel 2009 i disoccupati sono aumentati più al Centro-Nord (+29,9%), quasi 30 volte di più che al Sud (+1,4%). Nella classe di età 15-24 anni la disoccupazione è arrivata al 20,1% al Centro-Nord e al 36% al Sud. Qui crescono anche i disoccupati di lunga durata (sono il 6,6% del totale, erano il 6,4% nel 2008). Tuttavia, al Sud continua a crescere la zona grigia della disoccupazione, che raggruppa scoraggiati (persone che non cercano lavoro ma si dicono disponibili a lavorare), disoccupati impliciti e lavoratori potenziali. Considerando questa componente, il tasso di disoccupazione effettivo del Sud salirebbe nel 2009 a sfiorare il 23,9% (era stimato nel 22,5% nel 2008). Tra il 1990 e il 2009 circa 2 milioni 385mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno. E “la vera America”, per i meridionali, resta il Centro-Nord, dove si dirigono 9 emigranti su 10. Solo uno su dieci si trasferisce all'estero: in valori assoluti, dal 1996 al 2007, parliamo di 242mila persone, di cui oltre 13mila laureati. Nel 2009, 114mila persone si sono trasferite dal Sud al Nord, 8mila in meno rispetto al 2008. In crescita invece i trasferimenti in direzione opposta, da Nord a Sud, arrivati nel 2009 a 55mila unità (erano 50mila l'anno precedente). La crisi ha colpito duro i pendolari, generalmente giovani, laureati e precari. Nel 2009 sono stati 147mila, in calo del 14,8% rispetto al 2008, pari a 26mila unità. Oltre 60mila sono campani, 36.500 i pugliesi, 35mila i siciliani. A seguire, abruzzesi (19mila), calabresi (16.800), lucani (14mila) e molisani (8.300). E’ un'emigrazione diversa dagli anni 60: il trolley e il pc al posto della valigia di cartone, molti con la laurea in tasca, e moltissime sono donne. Quasi un meridionale su due va in crisi per una spesa extra di 750 euro. In base agli ultimi dati disponibili (2007) il 14% delle famiglie meridionali vive con meno di mille euro al mese. Nel 47% delle famiglie meridionali vi è un unico stipendio, addirittura il 54% in Sicilia. Hanno inoltre a carico tre o più familiari il 12% delle famiglie meridionali, un dato quattro volte superiore al Centro-Nord (3,7%), che arriva al 16,5% in Campania. A rischio povertà a causa di un reddito troppo basso quasi un meridionale su 3, contro 1 su 10 al Centro-Nord. In valori assoluti, al Sud, si tratta di 6 milioni 838mila persone, fra cui 889mila lavoratori dipendenti e 760mila pensionati. Il rapporto Svimez segnala che non sempre, al Sud, uno stipendio in più, oltre a quello base, modifica la situazione: in quasi una famiglia su 4 (23,9%) con due redditi il rischio rimane. La 'green economy' fa invece da volano per l'economia del sud. Dal 2000 al 2008 la potenza degli impianti e l'elettricità prodotta con le rinnovabili al Sud è cresciuta in modo rilevante. Nel periodo in questione la potenza è cresciuta del 108% nel Mezzogiorno e l'elettricità prodotta del 151%, staccando di 3 e 4 volte il dato nazionale (rispettivamente 31% e 15%). Quote ancora più grandi a livello regionale: la Sardegna e la Puglia aumentano la produzione di 5 volte, la Sicilia addirittura di 10. A scoraggiare per l'attrazione di altre industrie al Sud, locali o multinazionali, la bassa qualità delle infrastrutture presenti, la rete elettrica arretrata e le interruzioni di servizio elettrico.
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