Il ministro dell'Economia ha corretto il tiro nemmeno ventiquattr'ore dopo, precisando su Twitter che «il piano tra Confindustria e i sindacati è in sintonia con gli orientamenti del governo ». Ma evidentemente non è bastato a placare l'ira delle organizzazioni sindacali. Le sue parole affidate ad internet, per dire che «servono scelte e contributo di tutti», evidentemente non hanno pesato quanto quelle pronunciate l'altro ieri a Cernobbio, davanti ai più importanti esponenti della comunità finanziaria, per bollare come «poco realistico » il documento congiunto sulla crescita sottoscritto la scorsa settimana a Genova dalle parti sociali. Così Fabrizio Saccomanni è stato investito dalle dure reazioni delle confederazioni, deluse più che arrabbiate per la fredda accoglienza riservata dal ministro al testo che, nelle intenzioni dei firmatari, doveva servire come punto di partenza per elaborare nuove politiche anticrisi. «Un governo, di fronte ad un documento tra le parti sociali che indica i principi sui quali bisognerebbe ragionare per la legge di Stabilità, dovrebbe convocare le parti, non discutere e contraddirsi in un'altra sede» ha sottolineato leader Cgil, Susanna Camusso, davanti alle telecamere del Tg3. Anche il segretario confederale della Uil, Paolo Pirani, ha attaccato Saccomanni: «È lui stesso ad essere poco realistico, perchè l'Italia non uscirà dalla crisi se non ricomincia a produrre ricchezza e posti di lavoro». Se il premier Enrico Letta, nel suo intervento finale al Workshop Ambrosetti di Cernobbio, aveva infatti enfatizzato lo spirito di pace sociale che ha portato al testo congiunto di Confindustria e sindacati, il ministro dell'Economia ne aveva invece sottolineato «il conto della spesa molto elevato e immediatamente posto a carico del bilancio statale con poco realismo», pur smorzando in seguito la propria affermazione con un comunicato ufficiale del ministero. «Occorrerà confrontarsi sulle scelte da fare. Sarà importante che ciascuno faccia la propria parte e quindi che anche imprenditori e sindacati indichino il contributo che ritengono di poter dare alle riforme economiche strutturali » si leggeva nel testo diffuso ieri da via XX settembre. Non sufficiente, comunque, a rassicurare la Cgil che, in vista dell'elaborazione della prossima legge di Stabilità, torna ad affrontare il nodo spinoso delle scarse risorse disponibili, alla base delle critiche mosse da Fabrizio Saccomanni. «Le risorse si trovano innanzitutto decidendo che il fisco è uno strumento di redistribuzione del reddito: si prenda di più dalle rendite e dai patrimoni, si faccia un'operazione equilibrata per alleggerire il carico fiscale sul lavoro e sulle imprese» ha spiegato il segretario generale Susanna Camusso, ricordando come nel documento di Genova si insista, ad esempio, sull'ipotesi di togliere dall'Irap le parte relativa al lavoro. Quel che chiedono i sindacati e le imprese, infatti, «non è una generica riduzione della pressione fiscale», che sarebbe sì problematica per la tenuta dei conti pubblici, ma «un intervento mirato ad investire risorse per incrementare l'occupazione e spingere così la ripresa » ha ribadito la leader di Corso Italia. Niente aggiustamenti qua e là, «nessuna dispersione in tanti piccoli provvedimenti », ma «due o tre grandi scelte capaci di dare uno shock al Paese» e di farlo tornare a crescere. Il che pone drammaticamente il tema della tenuta del governo Letta: «Per un sindacato è sempre necessario avere un governo di fronte, come interlocutore nel confronto» ha puntualizzato Camusso. «Ma la storia recente ha dimostrato che si possono avere anche governi che, pur continuando a governare, fanno scelte sbagliate per il Paese ». Quindi anche il governo Letta dovrebbe «chiedere un giudizio in ragione delle scelte che fa». Non fa sconti all'esecutivo, e al ministro dell'Economia in particolare, nemmeno la Uil, secondo cui «Saccomanni fa parte di quella numerosa serie di bravi tecnici», spesso «loro stessi poco realistici ». Secondo il segretario confederale Paolo Pirani, infatti, «l'Italia non uscirà dalla crisi se non ricomincia a produrre ricchezza e posti di lavoro. Noi, come parti sociali, abbiamo indicato alcuni obiettivi e abbiamo indicato anche come finanziarli. È chiaro che non è realistico porli sul bilancio dello Stato».
Luigina Venturelli
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