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da www.lastampa.it
ALESSANDRO BARBERA
«Mai stata poco fiduciosa, l’accordo è realizzabile entro la prossima settimana». Per far cambiare direzione alla trattativa sulla riforma del mercato del lavoro sono bastate 24 ore e un incontro a quattr’occhi. Attorno al tavolo della sala riunioni del ministero del Welfare si sono incontrati Elsa Fornero e i leader dei principali sindacati. La battuta di martedì del ministro - «non metteremo a disposizione una paccata di miliardi senza il sì delle sigle» - aveva creato tensioni, ma rendeva bene lo stato delle cose. Per garantire una riforma graduale (e più onerosa del previsto) della riforma degli ammortizzatori, il ministro chiedeva ai sindacati altrettante garanzie sul punto più controverso: il sì ad una modifica dell’articolo 18 e delle norme sui licenziamenti. Ci sono ancora tasselli da sistemare, ma in buona sostanza lo scambio è pronto: il governo allunga l’entrata in vigore della riforma, i sindacati dicono sì ai licenziamenti per motivi economici e disciplinari e alla fine del reintegro obbligatorio.
L’incontro va così bene che nel pomeriggio, durante la registrazione di una intervista a «La Storia siamo noi» con Giovanni Minoli, la (solitamente) cauta leader della Cgil Susanna Camusso si spinge a dire che «stanno maturando cose positive». Poco dopo, uscendo dall’ufficio di Raffaele Bonanni alla Cisl, il leader Pd Pierluigi Bersani conferma il clima: «Domani chiederemo al premier di cercare l’accordo». C’è chi pronostica che da lunedì, il giorno in cui le parti si incontreranno a Palazzo Chigi, ogni momento è buono per la firma. Un accordo che - se ne discute in queste ore fra i leader della maggioranza - potrebbe essere blindato con decreto: l’unica strada per evitare che in Parlamento il testo possa subire gli sgambetti della Lega o di quella parte del Pd che non vorrebbe alcuna modifica all’articolo 18. Sintetizza uno degli esponenti impegnati in prima persona nella trattativa: «Se il governo non procede per decreto, rischiano lui e il delicato equilibrio che abbiamo trovato».
Ma cosa è accaduto? Come è stato possibile passare in tre giorni dal rischio di accordo separato alla possibilità di chiudere con il sì della Cgil? I sindacati, sostenuti da Confindustria e dai piccoli di Rete Imprese, chiedevano di allontanare l’entrata a regime del nuovo sistema di ammortizzatori. I primi temono le conseguenze sul consenso nelle fabbriche, perché la sostituzione della «indennità di mobilità» (fino a due anni) con un più breve assegno di licenziamento si potrebbe ripercuotere sugli ultracinquantenni. Le imprese ne temono i costi: o per l’uscita dal lavoro di quegli stessi dipendenti, o nel caso dei piccoli, per i maggiori costi derivanti dalla fine della cassa in deroga, nata nel 2008 e oggi tutta a carico dello Stato. Fornero è pronta a rinviare l’entrata a regime del nuovo sistema al 2017, anche se non è chiaro se e quando scatterebbe la fine della cassa in deroga, che oggi costa quasi due miliardi l’anno. Il pressing del Pd perché si venga incontro alle piccole imprese è forte.
Se si troverà l’accordo su questi dettagli, ci sarà il sì dei sindacati alla riforma dell’articolo 18. La soluzione ipotizzata somiglia a grandi linee al modello tedesco: il lavoratore può essere licenziato per motivi economici o disciplinari, non per ragioni discriminatorie. Lo stesso lavoratore può comunque ricorrere al giudice, il quale, se ne ravvisa i motivi, dispone il reintegro. La differenza con le attuali regole sarebbe tutta qui: il giudice non deve più reintegrare obbligatoriamente, ma può disporlo, oppure decidere per un congruo risarcimento.
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