
“Il contratto unico non esiste in natura”. Al termine del primo tavolo tra governo e parti sociali sul tema della riforma del mercato del lavoro, Panorama.it ha chiesto a Emilio Viafora, fondatore del Nidil, il settore della Cgil dedicato ai lavoratori atipici e attuale segretario generale del Veneto, perché su una riforma che, nel nome di una maggiore equità, intende superare la giungla dei 40 tipi di contratto ad oggi applicati in Italia, il maggior sindacato italiano dice di no. Come anche a un superamento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che garantisce solo chi è assunto in aziende con più di 15 dipendenti.
Segretario Viafora, al tavolo di oggi a Palazzo Chigi il ministro del Welfare Elsa Fornero ha detto che il piano del governo prevede di porre fine alla cassa integrazione straordinaria, mantenendo solo quella per le crisi temporanee, in cambio di un’indennità per chi perde il posto di lavoro. Susanna Camusso ha risposto che la cassa straordinaria non si può superare. Perché se si parla comunque di un risarcimento?
Perché crediamo che mantenere i lavoratori di un’azienda che sta attraversando una fase di ristrutturazione dentro il processo riorganizzativo dell’impresa stessa sia fondamentale per evitare la loro espulsione definitiva. La cassa integrazione straordinaria è uno strumento che ha funzionato e funziona e non può essere sostituito.
Tabù o non tabù, al tavolo di oggi di articolo 18 non si è parlato. Intanto, secondo lei, è giusto discuterne oppure no?
Se le misure devono favorire l’occupazione non si capisce come facilitare i licenziamenti possa favorire l’occupazione. Ritenere l’articolo 18 un impedimento al licenziamento quando ci sono problemi per le imprese, si smentisce nei fatti: durante questa crisi in Italia sono stati licenziati per giusta causa, con procedura collettiva o individuale, oltre 700mila lavoratori, quindi è del tutto teorico che non si possa licenziare per giusta causa.
Sta dicendo che, a 40 anni di distanza dalla sua introduzione, l’articolo 18 è ormai superato dalla realtà attuale?
No, non voglio dire questo. Voglio dire che l’articolo 18 in realtà tutela i lavoratori non dal licenziamento per giusta causa, ma dal licenziamento per motivi discriminatori. Che cosa impedisce l’articolo 18? Impedisce che uno possa essere licenziato perché fa attività sindacale, per le sue idee politiche, per la sua fede religiosa, per questioni di genere. L’articolo 18 tutela diritti fondamentali previsti dalla Costituzione, per questo non può essere cancellato.
Voler difendere a tutti i costi una legge che si applica solo alle aziende con più di 15 dipendenti, mentre per tutti gli altri è previsto, in caso di ingiusto licenziamento, non il reintegro nel posto di lavoro ma solo un’indennità economica, non fa della Cgil un sindacato che continua a preoccuparsi solo dei lavoratori garantiti?
Ma questo non è vero! Il licenziamento senza giusta causa non è consentito nemmeno nelle aziende con meno di 15 dipendenti. La differenza è determinata dal fatto che per le imprese con più dipendenti è previsto il loro reintegro mentre in quelle con meno dipendenti no. Ma tutto ciò ha una motivazione legittima.
Quale?
Quella per cui in un’azienda molto piccola, quando si rompe il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e dipendente, è molto difficile che quest’ultimo possa rimanere all’interno, tant’è che è prevista una remunerazione. Quindi il problema è mal posto: non è affatto vero che la Cgil si preoccupa solo di chi è già garantito e ignora tutti gli altri.
Anche sul contratto unico la Cgil è contraria. Superare tutte le differenze di trattamento dovute alla presenza di 40 diverse tipologie non garantirebbe una maggiore equità?
E’ indubbio che l’Italia sia oramai il Paese con più tipologie contrattuali in entrata e che una vera riforma dovrebbe portare a una semplificazione sostanziale dal momento che dentro questa moltiplicazione delle tipologie si è creato un esercito di persone che non ha né presente né futuro, vittime di una illegalità diffusa; detto ciò parlare di “contratto unico” significa parlare di qualcosa che non esiste in natura. Come si fa a pensare di cancellare il lavoro stagionale, il tempo determinato, il lavoro interinale? Chi raccoglie i pomodori durante una determinata stagione dell’anno non può essere certo assunto a tempo indeterminato. Quello che si deve eliminare, quando si parla di semplificazione, sono invece tutti quei lavori a chiamata, a progetto, di collaborazione, le partite Iva finte, il lavoro condiviso, che invece davvero determinano una precarizzazione della condizione lavorativa.
Per la prossima settimana è fissato un nuovo incontro governo-parti sociali. Resterete seduti al tavolo fino alla fine, qualsiasi cosa vi sarà somministrato?
La Cgil non si è mai sottratta ai tavoli di trattativa, al limite non firma gli accordi. Discutiamo fino alla fine ma nessuno può dirci, come è accaduto con le pensioni, “prendere o lasciare”.
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