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mercoledì 29 agosto 2012

LAVORO: ma la politica che fa?

da: http://www.cgil.it/rassegnastampa/articolo.aspx?ID=9033
di L.Mariucci
Sul tema del lavoro si moltiplicano le proposte e le suggestioni. Ormai non si contano più le molte idee suggerite dai più vari fronti per contrastare la disoccupazione giovanile, femminile, il basso tasso di occupazione complessiva e così via. È tutto un florilegio di brillanti ipotesi. Si tratta di un vero e proprio spreco di intelligenza, dato che nessuna di queste idee ha le gambe su cui marciare, a partire dal tema delle risorse. Da ultimo anche il ministro Fornero si è esercitata nella immaginazione: al meeting di Rimini ha proposto di ridurre il cuneo fiscale sul lavoro, con particolare riferimento alla occupazione giovanile. Peccato che di tali proposte non vi sia traccia nelle ultime decisioni del consiglio dei ministri. Nel frattempo è cominciato il monitoraggio sulla riforma del mercato del lavoro, la legge, appunto, Monti-Fornero. Si faccia mente locale al modo in cui si è svolta la vicenda di quella legge. Il tutto è iniziato con una dichiarazione del presidente Monti nel dicembre 2011, a pochi giorni dal suo insediamento come presidente del Consiglio: «L'art. 18 non è un tabù». Si sono quindi passati vari mesi a discutere di questo: di come licenziare più facilmente i lavoratori, mentre dilagavano i licenziamenti collettivi, le messe in mobilità e le chiusure aziendali. A fine giugno 2012 la riforma viene approvata con ben quattro voti di fiducia perché il presidente del Consiglio voleva presentarla come carta di credito, per meglio sostenere al consiglio europeo le sue proposte in tema di anti-spread e di salva-Stati. Si noti che alla Camera la legge viene approvata mentre contestualmente viene votato all'unanimità un ordine del giorno che propone significativi cambiamenti della legge, con il sostegno del governo: un caso davvero singolare, dal punto di vista della logica parlamentare. In altri termini: la legge viene approvata dal Parlamento dichiarando al tempo stesso il dissenso su punti significativi del suo contenuto e quindi l'esigenza di modificarla in seguito. Due mesi dopo siamo ancora lì: lo spread resta altissimo, il pil decresce, la disoccupazione giovanile e femminile resta quella di prima, se non aggravata. Intanto a Taranto è esplosa una drammatica contraddizione tra lavoro e salute, mentre nel Sulcis gli operai dell'Alcoa bloccano il porto e i minatori si inabissano a 400 metri di profondità per difendere il posto di lavoro. Nel frattempo con qualche frequenza imprenditori e lavoratori disoccupati decidono di porre fine alla loro vita, magari dandosi fuoco davanti a Montecitorio. Di fronte a questa realtà il primo monitoraggio da fare sulla legge Monti-Fornero sarebbe dunque il seguente: prendere atto della assoluta inutilità di quell'intervento, del carattere accademico e astratto di quella complessa riforma di fronte alle drammatiche emergenze che ci stanno di fronte. Tali emergenze si possono riassumere così. Centinaia di migliaia di lavoratori stanno perdendo il loro posto di lavoro. Per questi lavoratori, se non si trovano soluzioni in termini di rilancio produttivo non si potrà che applicare il vecchio sistema della Cassa integrazione straordinaria e della indennità di mobilità, salvo lasciarli sul lastrico, con buona pace delle nuove norme sulla cosiddetta Aspi. Allo stesso tempo per i giovani continua a non esserci lavoro o se c'è è precario, a dispetto delle nuove e virtuose norme in materia di ridisciplina dei contratti a termine, delle collaborazioni, delle partire Iva ecc. La conclusione del discorso è la seguente. Non è più il tempo delle tecnicalità. Non c'è più tempo per operazioni tecniciste, virtuose solo sulla carta. Di fronte alla triplice crisi e ai conseguenti processi di trasformazione che stiamo attraversando (sul piano globale, europeo e specificamente nazionale) solo dalla politica può arrivare una risposta. Purché si tratti, naturalmente, di una politica vera, capace di proporre opzioni di fondo e proposte credibili, tali da mobilitare la partecipazione e il consenso della maggioranza dei cittadini. Ma questo apre un altro discorso.



Luigi Mariucci










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