03/08/2010
La produttività del lavoro italiano arranca: negli ultimi 30 anni è cresciuta ad una media annua dell'1,2% e già nell'ultimo decennio il suo valore è risultato negativo dello 0,5%. Ma nel periodo 2007-2009, pur in presenza di una sensibile caduta del monte ore lavorato, la produttività ha fatto registrare un vero e proprio crollo: -2,7 per cento in media d'anno. E' quanto sottolinea oggi l'ISTAT nel rendere note le serie storiche riferite a diverse misure di produttività per gli anni 1980-2009. Entrando nelle pieghe dell'indagine, però, la CGIL rileva che la bassa produttività rilevata dall'istituto statistico non è di sicuro da imputare al fattore lavoro che ha, invece, compensato i mancati investimenti delle imprese e l'assenza di politica industriale da parte del governo.Danilo Barbi, della Segreteria Nazionale, e Riccardo Sanna, del dipartimento politiche economiche della CGIL Nazionale, nell'analisi dei dati dell'istituto statistico, sottolineano infatti che il quadro fornito “evidenzia la bassa crescita strutturale del sistema produttivo italiano e ancor più bassa negli anni 2000” ma “guardando sia nel breve che nel lungo periodo la produttività totale dei fattori, che descrive la capacità del 'sistema' di creare valore aggiunto e riflette il livello tecnologico e organizzativo delle imprese, il contributo del fattore lavoro è risultato maggiore rispetto a quello di altri fattori e agli stessi guadagni di produttività restituiti al lavoro”.A mancare all'appello, secondo Barbi e Sanna, è il contributo dato dal fattore capitale. Quest’ultimo, infatti, al suo interno, come fanno notare i due esponenti della CGIL, “registra un esiguo contributo degli investimenti e delle componenti ad alta intensità tecnologica, a fronte di una prevalenza delle componenti non Ict dettate cioè dagli investimenti nei settori più tradizionali dell’economia e quindi non innovativi”. La CGIL, ricordano Barbi e Sanna, “proprio su questa base, nel Piano del lavoro presentato al suo ultimo congresso, ha proposto invece un piano di investimenti in innovazione e ricerca a sostegno dell’occupazione soprattutto nei settori strategici dell’economia per uscire dalla crisi con una maggiore competitività, produttività e buona occupazione”.
La produttività del lavoro italiano arranca: negli ultimi 30 anni è cresciuta ad una media annua dell'1,2% e già nell'ultimo decennio il suo valore è risultato negativo dello 0,5%. Ma nel periodo 2007-2009, pur in presenza di una sensibile caduta del monte ore lavorato, la produttività ha fatto registrare un vero e proprio crollo: -2,7 per cento in media d'anno. E' quanto sottolinea oggi l'ISTAT nel rendere note le serie storiche riferite a diverse misure di produttività per gli anni 1980-2009. Entrando nelle pieghe dell'indagine, però, la CGIL rileva che la bassa produttività rilevata dall'istituto statistico non è di sicuro da imputare al fattore lavoro che ha, invece, compensato i mancati investimenti delle imprese e l'assenza di politica industriale da parte del governo.Danilo Barbi, della Segreteria Nazionale, e Riccardo Sanna, del dipartimento politiche economiche della CGIL Nazionale, nell'analisi dei dati dell'istituto statistico, sottolineano infatti che il quadro fornito “evidenzia la bassa crescita strutturale del sistema produttivo italiano e ancor più bassa negli anni 2000” ma “guardando sia nel breve che nel lungo periodo la produttività totale dei fattori, che descrive la capacità del 'sistema' di creare valore aggiunto e riflette il livello tecnologico e organizzativo delle imprese, il contributo del fattore lavoro è risultato maggiore rispetto a quello di altri fattori e agli stessi guadagni di produttività restituiti al lavoro”.A mancare all'appello, secondo Barbi e Sanna, è il contributo dato dal fattore capitale. Quest’ultimo, infatti, al suo interno, come fanno notare i due esponenti della CGIL, “registra un esiguo contributo degli investimenti e delle componenti ad alta intensità tecnologica, a fronte di una prevalenza delle componenti non Ict dettate cioè dagli investimenti nei settori più tradizionali dell’economia e quindi non innovativi”. La CGIL, ricordano Barbi e Sanna, “proprio su questa base, nel Piano del lavoro presentato al suo ultimo congresso, ha proposto invece un piano di investimenti in innovazione e ricerca a sostegno dell’occupazione soprattutto nei settori strategici dell’economia per uscire dalla crisi con una maggiore competitività, produttività e buona occupazione”.
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