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mercoledì 18 aprile 2012

Antipolitica, riflessione di Zagrelbesky



L´ascesa di Grillo e dell´astensionismo sintomi preoccupanti di declino, in cui all´indignazione può sommarsi il disprezzoDopo Monti ci sarà bisogno del ritorno a una normalità politica della quale i partiti sono condicio sine qua non
Il finanziamento attuale rispecchia un´organizzazione oligarchica e priva di controlli e insieme alla legge elettorale svuota la democrazia
TIZIANA TESTA


TORINO - «Un tempo, quando scoppiava uno scandalo in un partito, gli altri quasi si rallegravano. Oggi non è più così. Ora ogni scandalo, per l´opinione pubblica, riguarda l´intero sistema politico. Ciò che succede in un partito è imputato a tutti. Una specie di responsabilità oggettiva di sistema». Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte costituzionale, accetta di rispondere a qualche domanda sul finanziamento pubblico. Lo fa a quasi due mesi da "Dipende da noi", il manifesto-appello di Libertà e Giustizia che lanciava un allarme in nome della politica e della democrazia. E lo fa partendo dall´antipolitica.
Gli ultimi sondaggi danno in grande ascesa il movimento di Grillo. E dicono che è probabile un fortissimo astensionismo.
«Sono molto preoccupato. Sono due sintomi di declino in cui, alla ragionata indignazione, possono sommarsi pulsioni disprezzo, invidia, semplificazione: terreno ideale per la demagogia. Sa com´è nata l´idea del manifesto? Ero stato a tenere lezione in quattro licei e ai ragazzi avevo chiesto: dopo la maturità, chi è disposto a dedicare un po´ di energia a qualcosa che abbia a che fare con la politica? Ogni volta avevo davanti 150-200 studenti e in tutto solo due hanno alzato la mano. Le cause? Sempre le stesse: la corruzione e la mancanza di punti di riferimento ideale. Non si dovrebbe generalizzare. Ma un errore, quando è diffuso fino a trasformarsi in senso comune, diventa un fatto politico. E chi deve dare motivi per distinguere, se non i partiti? Il manifesto che lei ha citato è un invito ai partiti a prendere contromisure, prima che la situazione sfugga di mano».
Sull´Unità Alfredo Reichlin si è rivolto anche a lei dicendo: stiamo attenti a criticare i partiti come se fossero tutti uguali.
«Io non ho mai detto questo. L´esperienza del governo tecnico è temporanea. Ci sarà bisogno del ritorno a una normalità politica della quale i partiti sono condicio sine qua non. Non esiste democrazia senza strutture sociali che diano forma e sostanza alla partecipazione. Le modalità cambiano, ma l´esigenza resta. C´è chi pensa a una democrazia senza partiti, per esempio alla �democrazia telematica´, ma è un´illusione. Il web può accendere gli animi e convocare le piazze ma non costruire politiche (vedi le rivolte in Nord Africa). La critica ai partiti è antipolitica, se è indirizzata a farne a meno; è altamente politica se è rivolta a incalzarli, anche a farli arrabbiare, affinché si scuotano. Dovremmo dire, mentendo, che tutto va bene? Questa sì sarebbe una pretesa antipolitica».
I partiti stanno affrontando, faticosamente, il problema del finanziamento. Cosa pensa della proposta di legge firmata da Alfano, Bersani e Casini?
«Questo tema dovrebbe essere collocato in una riflessione generale sulla politica e sulle sue forme. Il finanziamento, così com´è, è funzionale all´organizzazione oligarchica, centralizzata e priva di controlli dei partiti; a sua volta il sistema elettorale è diventato uno strumento legale di cooptazione: finanziamento ed elezioni oggi producono lo svuotamento della democrazia in basso e la concentrazione del controllo politico in alto. Chi decide della gestione dei fondi e della distribuzione dei posti sta nel cuore del potere. Dunque deve essere messa in discussione la gestione centralizzata delle risorse e delle candidature».
Ma i soldi destinati ai partiti sono troppi?
«La vera domanda è: cosa si deve finanziare? E cosa ci aspettiamo dai partiti? Le attività legate alle scadenze elettorali sono più facilmente controllabili e in parte sostenibili non con denaro pubblico ma con servizi pubblici gratuiti. Ma i partiti non sono solo macchine elettorali. Il loro compito è tenere insieme la società attraverso una presenza capillare, a contatto con problemi sociali che, affrontati in solitudine, diventano drammi e affrontati insieme possono trasformarsi in domande politiche. Una funzione fondamentale, soprattutto in tempi di crisi. Ma tutto questo costa».
Torniamo ai soldi.
«Si fa un gran parlare dell´ultima tranche di finanziamento, 180 milioni di euro. Ci sono iniziative per congelarli, per devolverli. Ma se ci si limitasse a questo la reazione dei cittadini sarebbe: sono stati colti con le mani nel sacco e fanno un piccolo gesto. La semplice rinuncia ai fondi significa riconoscere d´essere stati degli approfittatori. Invece questa sarebbe l´occasione per fare pulizia, dissociandosi da chi ha usato denaro pubblico per fini privati. Non si dica che nessuno sapeva dei Lusi e dei Belsito. Chi li ha voluti lì e perché? Troppo facile chiamarsi fuori. I tagli sono certo necessari, se è vero che per attività istituzionali i partiti usano poco più di un quinto di quanto ricevuto. Ma il finanziamento è la coda, non la testa del problema».
E le donazioni dei privati?
«Vanno bene quelle micro, diffuse sul territorio. Sono forme di partecipazione disinteressata. Ma è difficile che in questo momento possano essere abbondanti. I grandi finanziamenti, invece, che provengono da imprese e gruppi economici sono sempre dei do ut des. Quindi devono avvenire nella massima trasparenza. La veridicità dei bilanci, non solo dei partiti ma anche delle imprese, è essenziale. Ma il reato di falso in bilancio è stato svuotato».
E´ ottimista sul futuro? O è tardi per il rinnovamento dei partiti?
«Il tempo stringe. Spero che ci sia una scossa, che non ci si illuda che basti glissare perché tutto passa. Vedo un futuro difficile, un impasto di crisi sociale, di insofferenza nei confronti della politica, di demagogia. Ma abbiamo il dovere di credere che non sia troppo tardi».

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