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mercoledì 12 ottobre 2011

«Quei conti non tornano» Anche la Corte bacchetta


da www.ilriformista.com
La Corte dei Conti boccia la legge delega in materia fiscale e assistenziale, uno dei punti salienti della strategia economica del governo. È questo l’esito dell’audizione del presidente del massimo organo della magistratura contabile, Luca Giampaolino, da parte delle Commissioni Finanze e Lavoro di Montecitorio.
Il provvedimento, osserva Giampaolino, presenta il limite di «affidarsi a mezzi di copertura incerti, circoscritti e superati dagli eventi, e soffre di genericità e indeterminatezza». Caratteristiche messe in luce dall’ipotesi di condono, avanzata negli ultimi giorni dal capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto, e che il magistrato liquida come «una scelta politica, per le conseguenze sul comportamento dei contribuenti». Il numero uno della Corte dei Conti invita a «tenere in considerazione i risultati delle sanatorie precedenti, e delle possibili implicazioni in sede europea, oltre che nella lotta all’evasione fiscale».
Ma a preoccupare i magistrati di Viale Mazzini sono due elementi ulteriori. Il primo è nell’esigenza di tempi ristretti per l’approvazione del disegno di legge e dei decreti di attuazione, «per evitare l’applicazione della clausola di salvaguardia, consistente nel taglio automatico e lineare delle agevolazioni fiscali». Taglio che dal 2014 rischia di pesare per 800 euro all’anno su ogni famiglia. L’altro è rappresentato dall’efficacia della copertura finanziaria del disegno di legge. «Se dovessero concretizzarsi le perplessità su questo aspetto, rischierebbe di risultare compromesso il percorso di riforma tributaria e la spinta che essa dovrebbe assicurare alla ripresa dell’economia», evidenzia Giampaolino. Per questa ragione «gli esiti della strategia fiscale del governo sono incerti: oggi i suoi obiettivi devono coesistere con spazi più ristretti di manovra e con stringenti regole di bilancio». Le decisioni assunte d’urgenza per fronteggiare le turbolenze economiche hanno infatti comportato «un’ulteriore restrizione degli spazi utilizzabili dal riformatore fiscale». Il risultato è immaginabile: «I nuovi assetti disegnati dalla delega non prefigurano più una generalizzata riduzione del prelievo fiscale, ma un’estesa operazione redistributiva». Esattamente la debolezza che da più parti, soprattutto nella maggioranza, viene imputata alla politica economica e fiscale dell’esecutivo e del capo del Tesoro.
L’analisi del presidente della Corte dei Conti si spinge oltre. Giampaolino si chiede se le incertezze che gravano sulla copertura delle misure in materia fiscale e assistenziale «non rendano indispensabile esplorare fonti di gettito nuove, a partire da basi imponibili personali o reali al posto del lavoro e delle imprese». Puntare sulle rendite e sui patrimoni anziché sulla produzione di ricchezza, dunque. Tuttavia, rileva Giampaolino, esistono ostacoli istituzionali alla riduzione del peso fiscale sull’economia reale. Ne è esempio l’eliminazione dell’Irap, «assai ardua alla luce di quel federalismo fiscale che attribuisce all’autonomia impositiva delle regioni le prerogative sulla tassa più criticata dalle aziende». Peraltro, ricorda il massimo rappresentante della magistratura contabile, non è chiaro se l’eventuale abolizione dell’Irap sarà compensata dall’introduzione di una tassa unica regionale sui servizi pubblici o da ulteriori trasferimenti dallo Stato agli enti locali.
A rendere più nebuloso l’orizzonte della delega fiscale e assistenziale, per la Corte dei Conti, sono le «forti incertezze che dominano la situazione economica e il perdurare di ritmi asfittici di crescita». Il disegno di legge si inserisce, di fatto, «in una situazione che rischia di aggravare gli squilibri di finanza pubblica, a partire dall’impennata del debito pubblico». Per di più, sottolinea Giampaolino, «i risparmi che potrebbero derivare dalla riduzione della spesa rischiano di essere controbilanciati dalle risorse che sarà necessario mettere in campo per assicurare servizi adeguati a un prevedibile aumento del fenomeno della non autosufficienza». La riduzione della spesa sociale, in altre parole, rischia di «produrre effetti non diversi da quelli di un prelievo eccessivo e distorto.
Le valutazioni espresse da Giampaolino incontrano l’approvazione della Cgil che, per bocca del segretario confederale Danilo Barbi, denuncia l’ipotesi di condono come espressione di un «governo diviso, privo di politica economica». Il sindacalista di Corso d’Italia si dichiara d’accordo con l’esigenza di «tassare beni personali e reali e di evitare i tagli lineari alle agevolazioni, che sarebbero recessivi e si concentrerebbero su coloro che già pagano regolarmente le imposte e sui cittadini meno abbienti». Al posto di un condono giudicato «diabolico e stupido», la Cgil indica «una strada più efficace ed equa: un’imposta ordinaria sulle grandi ricchezze analoga a quella francese, un’aliquota progressiva dallo 0,55 all’1,8 per cento sulle attività patrimoniali e finanziarie, al netto dei mutui e altri debiti. Un’imposta che verrebbe pagata solo sulla quota che eccede gli 800mila euro, pari al 5 per cento delle famiglie italiane».
Edoardo Petti

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