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Ddl lavoro: CGIL, necessario rivedere l'intero impianto legislativo
Nell' audizione di oggi alle Commissioni Affari costituzionali e Lavoro, la CGIL ribadisce tutti i suoi dubbi sull’arbitrato. Senza modifiche prosegue mobilitazione » Video
11/05/2010
“Serve una nuova complessiva deliberazione sull’intero ddl lavoro che non si limiti agli articoli presi in esame ma che si allarghi all’intero impianto del provvedimento. Se non ci saranno modifiche proseguirà con le iniziative di contrasto e con tutte le mobilitazione necessarie, nessuna esclusa”. Questa in estrema sintesi la posizione della CGIL espressa oggi nel corso dell’audizione alle Commissioni Affari costituzionali e Lavoro del Senato dal Segretario Confederale, Fulvio Fammoni, sul ddl lavoro. In particolare, e solo relativamente alle materie lavoristiche, la CGIL richiama le norme relative all’apprendistato, alla problematica dei permessi per disabili ed il previsto meccanismo di riattivazione delle deleghe sugli ammortizzatori sociali precedentemente fatte scadere.
Sugli articoli esplicitamente indicati dal Presidente il punto fondamentale della critica della CGIL si ravvisa nel rapporto instaurato dal ddl 1167-B/bis tra norma di legge, autonomia collettiva e pattuizioni individuali, emblematizzato dagli artt. 30-31 del testo. “Si fa riferimento ad una tecnica legislativa che incorpora nel testo di legge la diminuzione dei diritti, e lascia alla contrattazione collettiva l’impossibile compito di ‘risalire la china’”, afferma Fammoni spiegando che: “in questo modo non si considerano i diritti del lavoro come elemento essenziale della coesione sociale e si pone sulle spalle delle parti sociali e degli stessi lavoratori un compito palesemente impossibile, incentivando un peggioramento dei diritti e avallando oggettivamente l'ottica della pura ‘riduzione del danno’”. Nello specifico Fammoni punta il dito contro la “facoltà di certificazione di contratti, non più solo limitata alla loro qualificazione, ma di fatto estesa al contenuto della prestazione e perfino al suo concludersi per giustificato motivo. Con una esplosiva contraddizione nella funzione del sindacato (anche se svolta tramite gli enti bilaterali), attore principale della contrattazione collettiva”. A tutto ciò, aggiunge Fammoni, “si accompagna una drastica riduzione agli spazi di difesa giudiziale, e una inaccettabile lesione dei poteri dell'autorità giudiziaria, costretta a ‘non discostarsi dalla valutazione delle parti’ nelle certificazioni dei contratti, e impossibilitata a verificare le condizioni effettive di esercizio dei poteri datoriali (in oggettivo contrasto rispetto agli artt. 101-102 Cost.)”. Si vedano in proposito i primi 4 commi dell'art.30.
Arbitrato - Prove di queste opzioni si ritrovano nell'art.30 del testo, “oltreché nella più volte commentata norma sull'arbitrato anche di equità (art.31)”. A tale proposito va segnalata “l'inaccettabilità anche costituzionale (artt. 24 e 25 Cost.) della possibilità prevista di conferire ad arbitri contenziosi non solo in atto ma anche futuri”. Ne consegue la non condivisione per la CGILdelle norme sull'arbitrato secondo equità, “avendo sempre inteso l'arbitrato come utile strumento di deflazione del contenzioso a patto che la scelta fosse effettivamente volontaria di entrambe le parti e che si svolgesse sulla base delle previsioni di legge e contratto collettivo, concetti che si ritrovano in intese sottoscritte con molte associazioni e di tanti Contratti collettivi”. Ciò che la CGILcontesta “non é quindi l'istituto in sé dell'arbitrato, quanto il suo svolgimento secondo equità su diritti inderogabili e/o definiti dalla contrattazione collettiva; il fatto che il ricorso ad arbitri sia una scelta compiuta per ogni futuro contenzioso anziché una possibilità da valutarsi volta per volta dalle parti. Pur avendo infatti la Camera introdotto un importante e positivo correttivo facendo riferimento a controversie ‘insorte’, lo si è voluto immediatamente contrastare con un ordine del giorno che vorrebbe, dando una interpretazione di parte, ripristinare la norma originaria; la impugnabilità del lodo limitata a vizi formali, sovvertendo la previsione di legge che in materia di lavoro ammetteva l’impugnabilità per violazione di legge e contratti collettivi; il permanere della facoltà concessa al Ministro di agire con un decreto per implementare tali scelte, rendendo di fatto non libera la contrattazione tra le parti”. Per tutti questi motivi, precisa Fammoni, “non è né sufficiente né adeguato il recepimento dei contenuti della Dichiarazione comune siglata l'11 marzo dalle parti sociali, ma non dalla CGIL, presso il Ministero del Lavoro”.
Due ulteriori osservazioni: le modalità di impugnazione e i tempi di decorrenza, e la normativa sui collaboratori di cui all'art.50. “Il primo rilievo riguarda l'efficacia delle norme sui processi pendenti: al riguardo basti ricordare la sentenza 214/09 della Corte Costituzionale per ravvisarne la problematicità dal punto di vista costituzionale. Inoltre, i tempi previsti per l'impugnazione sono soggetti a rischi di aleatorietà tali da non assicurare la certezza del diritto (ad es. nel licenziamento orale, o nel caso della mancata adesione della parte alla conciliazione e/o all'arbitrato che potrebbero innescarle)”. Al riguardo si fa notare come l’interpolazione della parola ‘scritta’ nel primo comma dell’art. 32 non costituisce alcuna garanzia riguardo alle problematiche qui sollevate, “permane infatti (comma 2) la doppia tagliola dei tempi (60+180) anche per i licenziamenti inefficaci, per cui l’obbligo di comunicazione scritta, peraltro già previsto dalla legge 604/66, nulla aggiunge al rilievo segnalato. Inoltre, imporre termini così stringenti nei casi di trasferimento, sia individuale che di ramo d'azienda, e la loro decorrenza dalla comunicazione anziché dall'effettivo verificarsi dell'evento svuota di fatto l'esercizio del diritto”. Infine, continua il segretario confederale, “si accetta la ricattabilità del lavoratore a termine, che legittimamente aspetta di impugnare il contratto nella speranza di un suo rinnovo, e se ne deduce una norma di legge che impedisce la contestazione relativa alla successione dei contratti a termine e ne limita l’efficacia solo a quello scaduto per ultimo. L'art.50, infine, anche nella versione modificata dalla Camera, rappresenta una scorretta incursione del legislatore in vicende giudiziarie seguite ad intese separate, su cui è costituzionalmente corretto non interferire con giudizi in corso”.
La CGIL ritiene quindi che il ricorso all’arbitrato possa essere previsto solo una volta che sia stato acquisito il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, escludendo quindi tutti i lavoratori precari, ed in ogni caso solo quando si manifesti la controversia; l’arbitrato debba svolgersi secondo leggi e contratti collettivi, e non ‘secondo equità’, in ogni caso la legge deve prevedere in esplicito le inderogabili norme di tutela del lavoratore; si deve eliminare la previsione di un decreto ministeriale in caso di silenzio della contrattazione o di una mancata intesa da parte di tutte le parti sociali comparativamente più rappresentative; la procedura di certificazione, in particolare riferita alle condizioni di impiego, non possa essere intesa come peggiorativa delle regole dei Ccnl e in ogni caso il giudice non può avere vincoli nell’accertare i fatti e la reale volontà delle parti; deve essere cambiata la norma sui termini per l’impugnazione, eliminarne gli effetti sulle cause in corso e prevedere che: l'efficacia dell'impugnativa in caso di successione di contratti a termine riguardi l'intera vicenda dei rapporti intercorsi a partire dal primo; i termini per impugnare trasferimenti individuali e quelli ex art.2112 c.c. siano calcolati non in base alla comunicazione dell'evento, bensì a partire dal suo effettivo concretizzarsi e siano elevati ragionevolmente; il vincolo dei 180 giorni per depositare il ricorso sia eliminato per i licenziamenti inefficaci, e sia allungato a tempi più ragionevoli, dato che altrimenti si rischia, non avendo il tempo necessario alla completa istruzione della pratica, di produrre In particolare e solo relativamente alle materie lavoristiche richiamiamo le norme relative all’apprendistato, alla problematica dei permessi per disabili, ed il previsto meccanismo di riattivazione delle deleghe sugli ammortizzatori sociali precedentemente fatte scadere ‘impugnative in serie’, con aggravio di tempi e costi per il sistema giudiziario; la soppressione dell'art.50 e dell’art.20.
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