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martedì 30 dicembre 2014

Jobs act: - pubblici dipendenti e incostituzionalità legge

da: http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2014/12/28/jobs-act-polemiche-su-licenziamento-statali.-renzi-decidera-il-parlamento_59c9e41d-59f8-4855-9969-b5ba040dfde5.html

'Sarà il Parlamento a pronunciarsi sulla licenziabilità o meno degli statali. Esiste giurisprudenza nell'uno e nell'altro senso. Ma non sarà il governo a decidere. A febbraio, quando il provvedimento sul pubblico impiego firmato da Marianna Madia verrà discusso in Parlamento, saranno le Camere a scegliere. Non mancherà il dibattito, certo". Lo afferma il premier Matteo Renzi in un'intervista a Qn in cui difende la portata del Jobs act e delle sue leggi in materia di lavoro.

Ma resta aperta la polemica nel governo sull'applicazione agli statali del Jobs Act. Il senatore di Scelta civica Pietro Ichino scrive che il contratto a tutele crescenti si applica anche agli statali, visto che la nuova legge non lo esclude esplicitamente. Il ministro del Welfare Giuliano Poletti e quello della PA Marianna Madia smentiscono però l'ipotesi. Ma il sottosegretario all'Economia Enrico Zanetti, di Scelta civica, sbotta: "Trovo francamente sconcertante questo affannarsi di alcuni ministri nel negare l'applicabilità del Jobs act al pubblico impiego. Dualismo con i privati non sta in piedi'. "Il JobsAct vale per dipendenti pubblici, saranno licenziabili. Anzi no. Anzi forse. Anzi vedremo. Da licenziare in tronco è #Renzi!". Lo scrive su twitter il segretario federale della Lega, Matteo Salvini. 
Anche Beppe Grillo sferra un attacco pesante. "Tra qualche giorno iniziano i saldi, e il Governo quest'anno propone la svendita del diritto al lavoro. Sei stato licenziato senza giusta causa? Non ti preoccupare, ti verrà dato un piccolo indennizzo, e così potremo fare finta di nulla. Nessuna tutela reale, ma solo un ristoro economico, vero ricatto morale che fa leva sulla fragilità di chi oggi non si può permettere di perdere il lavoro". E' quanto sottolinea un post del blog di Beppe Grillo dal titolo "Jobs Act Le Fregature crescenti". "Da oggi si nasce senza diritto al lavoro, si acquista giorno per giorno e in alcuni casi lo perdi strada facendo. Loro le chiamano "tutele crescenti", noi sappiamo che è violazione dei diritti. Grande novità per le nuove assunzioni che portando a oltre 15 dipendenti l'organico complessivo: i neo assunti vedranno applicato il regime a "fregature crescenti", e la stessa sorte subiranno i veterani (i vecchi assunti) che ancora credevano nelle tutele acquisite", si legge nel post, firmato dalla parlamentare del M5S Laura Castelli e corredato da una foto dell'ad di Fca Sergio Marchionne che fa il gesto dell'ombrello ai "Lavoratori!". "Le riforme dovrebbero nascere per dare maggiori opportunità alle persone, per crescere e migliorare la propria esistenza, invece la realtà che crea questa riforma è una maggiore instabilità sociale, precarietà di vita e impossibilità di costruire il futuro. Con questa riforma non si sostieni la famiglia, non si paga l'affitto, non si contrae un mutuo per l'acquisto di una casa, dunque non si consente una vita dignitosa", conclude il post.
Sempre Grillo spiega "partite Iva cornute e mazziate". "Dura la vita per le Partite Iva. La riforma del Lavoro peggiore della storia, firmata dal governo in carica, le distrugge. Il popolo dei liberi professionisti andrà incontro a un vero e proprio salasso dal 2015. Un salasso firmato Renzi che vuol dire Fisco e Inps. Il regime dei minimi, uno status agevolato destinato agli under 35, in pratica non esiste più. O meglio: esiste, ma è una fregatura". E' quanto si legge in un post del blog di Beppe Grillo dal titolo "Partite Ive cornute e mazziate" e firmato da "una partita Iva". "Dal primo gennaio l'aliquota triplica: passa al 15%. Ma è solo l'inizio, perché 30 mila euro, a quanto pare, sono troppi. Il governo ha introdotto delle soglie differenti a seconda dell'attività svolta. Per pagare il 15%, i commercianti devono incassare meno di 40 mila euro. I giovani professionisti meno di 15 mila", sottolinea il post, che quindi attacca: "Ma non è finita. Il governo ha dato il via libera agli aumenti contributivi Inps per gli iscritti alla gestione separata. Una misura, prevista dalla Riforma Fornero e bloccata dai precedenti governi, che poterà l'aliquota dal 27 al 33% entro il 2018. Insomma: cornuti e mazziati".
Per Civati, da minoranza Pd giro parole incomprensibili - "Ora, lo dico senza polemica: questo giro di dichiarazioni per me è incomprensibile. Se si era così preoccupati, si potevano raccogliere le firme di centinaia di parlamentari per evitare che il Jobs Act contenesse le norme sui licenziamenti facili e sul demansionamento prima di arrivare alla discussione alle Camere, come avevo proposto. E, invece, si è preferito trattare, poi mediare, poi posizionarsi, poi condividere con preoccupazione, poi preoccuparsi per la condivisione. Il problema non è tra correnti del Pd, è con la realtà delle cose". E' quanto scrive sul suo blog il deputato Pd Pippo Civati intervenendo del dibattito sul Jobs Act. "Leggo interessanti articoli in cui la cosiddetta minoranza del Pd (dico cosiddetta perché non si capisce chi sia in minoranza, visto che tutte le correnti sono al governo e in segreteria nazionale, a parte chi scrive e pochi altri) sta alternando giudizi che cambiano di ora in ora sul Jobs Act: prima il capogruppo prendeva in giro Sacconi (che in realtà secondo me è molto soddisfatto), ora chiede le modifiche al decreto del governo. Chi ha votato a favore parla di "lesione costituzionale". Chi ha prodotto la mediazione parla di eccesso di delega, spiega Civati, che poi ironizza: "Pare che sia nata una nuova corrente: quella dei "trattativisti", che sperano di cambiare il testo di Poletti, dopo avere accolto con favore le notizie che provenivano da Palazzo Chigi solo qualche ora fa. Poletti li ha già 'rassicurati': non si cambia una virgola. Va bene così".

Renzi: 'Non temo minacce, meno che mai dalla Cgil' - Il Jobs Act, dice Renzi a Qn, "è anche la diminuzione delle tasse partendo da Irap e 80 euro, è la soluzione alle tante crisi aziendali, è la lotta alla burocrazia e per una giustizia civile più efficiente". La Cgil si dice "pronta a tutto" per bloccare la riforma... "Ho il massimo rispetto per il sindacato, e lo dico senza polemiche né ipocrisie o ironie - assicura Renzi - ma non sono il tipo che si lascia impressionare dalle minacce. Meno che mai della Cgil. Che ha manifestato, scioperato, e avversato in ogni modo le nostre riforme. Se ha altri modi per dire no, lo spiegherà di fronte al Paese, ci trova al solito posto, a Palazzo Chigi a provare a cambiare l'Italia". Il premier spiega poi che per vedere i primi risultati saranno brevi: "i primi effetti si vedranno già dal 2015, ne sono convinto, a condizione però di non mollare e continuare sulla strada delle riforme"
Poletti: Jobs Act non si cambia, legge solo per i privati - Sul Jobs Act "i punti fondamentali sono definiti". Lo ribadisce il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, intervistato da Repubblica, escludendo modifiche al provvedimento e chiudendo alle richieste di Ncd e sinistra del Pd: "Trattative proprio no. Le Commissioni esprimeranno un parere e il governo lo valuterà. Direi che la sostanza del decreto è quella e quella rimarrà, ciò non toglie che esamineremo con molta attenzione le osservazioni che dovessero pervenire e decideremo collegialmente". Il ministro esclude che le nuove regole si applicheranno anche agli statali: "Direi proprio di no. Quando abbiamo approvato la legge delega abbiamo sempre fatto esclusivo riferimento al lavoro nel settore privato". Spiega poi perché si siano estese le nuove regole ai licenziamenti collettivi: "Per una esigenza di coerenza dell'impianto normativo. Poiché i licenziamenti collettivi sono sempre motivati con ragioni di ordine economico o organizzativo sarebbe stato incoerente escludere il reintegro per quelli individuali e non anche per quelli collettivi". Esclude quindi ogni ripensamento, come chiede invece la minoranza Pd vista la disparità tra nuovi e vecchi assunti: "Rispetto tutte le posizioni, ma una riforma va valutata nel suo equilibrio complessivo. E questa riforma è equilibrata". No anche alle critiche della Cgil: "Mi sembra un cambiamento radicale rispetto al passato ed è sbagliato non volerlo vedere". Poletti sottolinea infine i vantaggi per imprese e lavoratori: "Le imprese hanno un quadro di maggiore certezza su ciò che avviene in caso di licenziamento. Per molti giovani c'è il vantaggio di avere un contratto a tutele crescenti a tempo indeterminato, con il diritto alle ferie, alla malattia, alla maternità che altrimenti non avrebbero mai avuto con i contratti precari".
Madia: 'Sì a modifiche su indicazione parlamentare'- "Secondo noi, e secondo i tecnici del governo, la norma, tutta impostata sul lavoro privato, è scritta in modo per cui è pacifico che le nuove regole non si applichino ai dipendenti pubblici". Intervistata dalla Stampa il ministro della P.A. Marianna Madia esclude così l'estensione delle nuove regole agli statali. "Dopodiché - aggiunge - se tecnicamente dovessimo appurare che è meglio specificare, potremmo anche farlo. Ma non ne farei un dibattito da codicillo: il punto è che la volontà politica del governo è quella di non includere nelle nuove regole i lavoratori pubblici". Madia smentisce anche la cancellazione di una norma che escludesse i dipendenti pubblici, come sostenuto dal senatore di Sc Pietro Ichino: "Che il comma c'era lo dice lui. Noi non siamo un governo che improvvisa: se vogliamo affrontare questo tema, lo facciamo in una discussione approfondita in Parlamento nella riforma della Pa, non cerchiamo di imporlo con la furbizia di un comma notturno in una delega sul lavoro privato". Apre quindi a possibili modifiche ai decreti nel passaggio dalle Commissioni parlamentari: "Perché no? I temi più vengono approfonditi, meglio è". E su eventuali cambiamenti sui licenziamenti collettivi avverte: "La sintesi a cui sono arrivati Renzi e il ministro Poletti mi sembra fatta con equilibrio, per non creare disparità. Vedremo i pareri, se saranno convincenti non sono escluse modifiche". Infine un accenno ai dipendenti delle province: "I contratti precari sono prorogati di un anno", dopo "vedremo. Quello che posso già garantire è che nessuno degli assunti delle province perderà il posto".
Damiano, Renzi adotti modello tedesco, ma tutto - "Anch'io, come Sacconi, suggerisco a Renzi di adottare il modello tedesco: tutto, però, non solo nelle parti che fanno comodo. In quel modello le tutele partono dai 10 dipendenti, il licenziamento deve essere preventivamente sottoposto alla valutazione della rappresentanza sindacale, la reintegra vale anche per i licenziamenti economici ed il giudice può decidere se reintegrare o risarcire il lavoratore". Così dichiara il Presidente della Commissione Lavoro alla Camera Cesare Damiano. "I modelli non si possono tagliare a fette come il salame, come pretenderebbe di fare l'Ncd: sarebbe troppo comodo. Inoltre, se come afferma Filippo Taddei quello che conta è l'intenzione del legislatore - prosegue il Presidente - facciamo presente che fin dall'inizio il Governo ha sempre e solo parlato di articolo 18 e di licenziamento individuale e non di legge 223 e di licenziamenti collettivi. Chiederemo quindi di cancellare l'estensione delle nuove regole ai licenziamenti collettivi, di utilizzare le norme dei contratti nazionali di lavoro per "tipizzare" i licenziamenti disciplinari e di innalzare da 4 a 6 mensilità lo zoccolo di partenza per l'indennizzo dei lavoratori". "Valuteremo - conclude Damiano - tutti gli aspetti dei Decreti che potrebbero comportare eventuali casi di "eccesso di Delega".
Sacconi,governo spieghi perché non si applica a P.a - "Ricordo ancora - afferma il capogruppo al Senato di Area popolare, Maurizio Sacconi, a proposito del Jobs Act - che in Parlamento Ncd presentò un emendamento per la omologazione del lavoro, pubblico e privato, con la sola eccezione per le cosiddette carriere d'ordine (prefetture, diplomazia, forze armate e polizie, magistrature) e per le procedure concorsuali di ingresso. Il PI potrebbe così utilizzare l'apprendistato, dovrebbe rispettare le regole sui contratti a termine ponendo fine a quel precariato di lungo periodo che poi si stabilizza senza concorso, sarebbe soggetto alle procedure di licenziamento individuale e collettivo. Ritirammo l'emendamento - prosegue - perché il Governo si impegnò ad attuare la norma vigente che lo impegna alla unificazione. Ora ci spieghi perché no. E non ricorra a ragioni formali perché sarebbero a favore della nostra tesi. Ci dica nella sostanza quali motivi di efficienza deporrebbero contro l'unico mercato del lavoro. Area Popolare insisterà con la forza dei buoni argomenti che vogliono pubbliche amministrazioni sempre più prossime ai criteri del buon datore di lavoro e della efficienza verificabile con la contabilità economica per centri di costo".

da: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/12/29/jobs-act-licenziamenti-collettivi-giuslavorista-incostituzionale-discriminatorio/1302561/

Complicata da attuare, potenzialmente incostituzionale e discriminatoria, mirata a bypassare la trattativa sindacale “a un modico prezzo”. Questo, in sintesi, il giudizio del giuslavorista Umberto Romagnoli sull’estensione della riforma dell’articolo 18 ai licenziamenti collettivi contenuta in uno dei due decreti attuativi del Jobs Act approvati dall’esecutivo alla vigilia di Natale. “Il Jobs Act determina un doppio binario nella gestione dei licenziamenti. I nuovi assunti hanno un trattamento di tutela assai meno efficace rispetto ai colleghi al lavoro da più tempo”, sottolinea il professore diventato docente ordinario di diritto del lavoro nel 1970 all’Università di Bologna, che negli anni novanta ha fatto parte della Commissione di garanzia sugli scioperi. Stando al decreto attuativo la riforma, che prevede in quasi tutti i casi la sostituzione del reintegro con un’indennità, si applica ai lavoratori “assunti (…) a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto”. Questa disparità di trattamento, fa notare il giuslavorista, si ritrova sia nei licenziamenti collettivi sia in quelli individuali. Ma con una sostanziale differenza. “Se il provvedimento è collettivo, si presentano ulteriori complicazioni a livello pratico – continua Romagnoli – Tra i vari licenziati, bisognerebbe distinguere tra quelli assunti prima e quelli assunti dopo l’entrata in vigore del Jobs Act e agire in modo diverso”. Insomma, i dipendenti di lunga data avrebbero diritto al reintegro, gli altri solo all’indennizzo. “Siamo di fronte a un trattamento diversificato che è discrezionale, immotivato, non ragionevole – conclude il professore – Sono situazioni identiche trattate in maniera disuguale. Questa riforma aumenta le divisioni tra i lavoratori”.
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Diretta conseguenza di questo ragionamento sono i profili di incostituzionalità del Jobs Act. “Credo che questo provvedimento non sia legittimo – aggiunge – E’ una legge che costituzionalmente non sta in piedi: viola il principio di uguaglianza riconosciuto dalla Carta”. La previsione, quindi, è che presto partiranno ricorsi per rilevare l’incostituzionalità della norma. “Ma mentre la Consulta deciderà, passerà molto tempo – riflette il professore – Basti pensare all’estromissione della Fiom da parte della Fiat a Pomigliano d’Arco. La Corte impiegò due anni prima di decretare la sua riammissione in fabbrica. Nel frattempo, il danno si produce e si generano lesioni non riparabili“. Un’altra conseguenza dell’estensione delle nuove regole ai licenziamenti collettivi risiede, secondo Romagnoli, nell’ulteriore indebolimento del ruolo del sindacato. “Con il Jobs Act, l’imprenditore potrà evitare la fase della trattativa sindacale che precede l’avvio dei licenziamenti collettivi, pagando il piccolo prezzo della corresponsione delle indennità – ragiona il giurista – Qui si monetizza non solo il diritto alla continuità del rapporto di lavoro, ma anche il potere contrattuale del sindacato”.
A essere ridimensionato dalla riforma, sempre nella visione di Romagnoli, non sarà solo il potere delle sigle sindacali, ma anche quello dei giudici. Il riferimento è a quel passaggio del decreto attuativo dove si contempla il reintegro per i licenziamenti disciplinari, ma esclusivamente nei casi in cui sia “direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento“. Secondo il professore “è incostituzionale limitare l’esercizio del potere giurisdizionale. Il giudice deve avere la possibilità di accertare se c’è stata proporzione tra gravità del fatto commesso e la sanzione che è stata inflitta. Con un tratto di penna, il governo ha cancellato un principio di equità”. A sostegno della sua tesi, il giuslavorista porta un esempio pratico: nel caso di un solo giorno di assenza ingiustificata dal lavoro, l’imprenditore potrà procedere al licenziamento, senza che il giudice possa decidere se si tratta di un provvedimento sproporzionato rispetto al fatto commesso.
Eppure, il potere dei magistrati era già limitato, nella pratica, dalla scarsa applicazione dei loro verdetti. “Su dieci sentenze di reintegro, otto non avevano luogo – spiega Romagnoli – Se l’imprenditore non voleva, il lavoratore non riprendeva il servizio”. In sostanza, precisa il docente, era garantita l’erogazione dello stipendio e del versamento dei contributi, ma di fatto il dipendente non era più ammesso sul posto di lavoro, a causa della mancanza di strumenti coercitivi che obbligassero l’imprenditore a dare piena attuazione alla sentenza. E molti lavoratori, pur avendo diritto al reintegro, finivano per accettare il risarcimento. “Anche per questo motivo, i discorsi del governo sull’articolo 18 e sui maggiori investimenti che la riforma dovrebbe attrarre, sono pura propaganda – conclude – Si dice che stiamo andando verso il futuro, ma in realtà stiamo recuperando il passato, con un ritorno al potere unilaterale e tendenzialmente insindacabile dell’imprenditore. Se Matteo Renzi potesse riscrivere l’articolo 1 della Costituzione, direbbe che la Repubblica Italiana è fondata non sul lavoro, ma sulla libertà d’impresa“.

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