Assunzione
Tra qualche giorno, subito dopo che il decreto
legislativo approvato ieri dal consiglio dei ministri sarà pubblicato in
Gazzetta Ufficiale, chiunque, sia che entri per la prima volta nel mondo del
lavoro sia che cambi occupazione, potrà essere assunto con un nuovo contratto
che si chiama «a tempo indeterminato a tutele crescenti». La differenza
principale rispetto all’attuale contratto a tempo indeterminato è che cambiano
le regole in caso di licenziamento, che diventa molto più semplice nelle aziende
con più di 15 dipendenti. Poiché per il 2015 su queste assunzioni scatta uno
sconto sul costo del lavoro fino a 8.060 euro all’anno per tre anni, è probabile
che ci sarà un boom di contratti a tutele crescenti, a scapito dei vari
contratti flessibili che ora vanno per la maggiore. Vediamo dunque il percorso
di un giovane assunto a tutele crescenti in un’azienda con più di 15 dipendenti
Doppio regime
Da subito egli potrà trovarsi a lavorare, fianco a
fianco, con dipendenti assunti col vecchio contratto a tempo indeterminato. Il
contratto di lavoro sarà comunque lo stesso e così i diritti ad esso legati,
dalla malattia alla maternità passando per le ferie. Il trattamento, invece,
sarà diverso, come vedremo più avanti in caso di licenziamento. Una regola che,
in base al decreto presentato in parlamento cambia per tutti, vecchi e nuovi, è
invece quella che consentirà all’azienda di cambiare unilateralmente le mansioni
del dipendente in caso di riorganizzazione o ristrutturazione dell’impresa. Si
potrà scendere fino a un livello sotto il precedente inquadramento mantenendo
però il trattamento economico, tranne voci legate a istituti che non fanno più
parte delle nuove mansioni (per esempio i turni notturni
Licenziamento
In questo caso, il cambiamento è forte. Per il
giovane assunto con il contratto a tutele crescenti il diritto al reintegro nel
posto di lavoro resta solo nel caso di licenziamenti discriminatori o quando,
nel caso di licenziamento disciplinare, il lavoratore dimostri al giudice che il
motivo addotto dall’azienda sia insussistente. In tutti gli altri casi, cioè nei
licenziamenti economici e in quelli disciplinari comunque motivati, il
lavoratore avrà diritto solo a un indennizzo economico pari a due mensilità di
stipendio per ogni anno di servizio. Il minimo non potrà mai scendere sotto le 4
mensilità e il massimo non potrà superare le 24. Prima di andare dal giudice il
lavoratore potrà tentare la conciliazione. In caso di accordo, l’indennizzo (da
2 a 18 mensilità) è esente da tasse, per incoraggiare questa via
Licenziamento collettivo
Si configura quando l’azienda licenzia, per motivi
economici, almeno 5 dipendenti nell’arco di quattro mesi. In questo caso ci sarà
un trattamento differente se nel gruppo di licenziati ci saranno assunti col
vecchio contratto a tempo indeterminato e lavoratori con contratto a tutele
crescenti. Infatti, se il giudice conclude che il licenziamento è illegittimo,
per i primi disporrà il reintegro mentre per i secondi l’indennizzo.
L’illegittimità potrebbe derivare anche dal non aver seguito i criteri di
precedenza (carichi familiari, eventuali disabilità, eccetera) di cui bisogna
tener conto nella scelta dei lavoratori da licenziare. Il nostro lavoratore sarà
quindi in ogni caso fuori dall’azienda, tranne che non provi che si sia trattato
di licenziamento discriminatorio
Ammortizzatori
Che succede al lavoratore una volta licenziato? In
questo caso la riforma si applica a tutti i lavoratori, vecchi e nuovi, a patto
che abbiano 13 mesi di contribuzione in 4 anni e 30 giorni negli ultimi 12 mesi.
Dal prossimo primo maggio i disoccupati avranno diritto alla Naspi, che
sostituisce Aspi e mini Aspi. Si tratta di un assegno pari al 75% della
retribuzione media degli ultimi 4 anni con un tetto di 1.300 euro. L’indennità
dura 24 mesi , che però scendono a 18 dal 2017 (per mancanza di finanziamenti) e
l’importo, dopo i primi 4 mesi, si riduce del 3% al mese. Il pagamento del
sussidio è condizionato alla partecipazione a corsi di formazione e
riqualificazione. Finita la Naspi si può aver diritto all’Asdi, un assegno per
sei mesi, se non si è trovato un lavoro e si è in condizioni di particolare
bisogno
Contratti
Ma cosa resta, se non si trova un lavoro col
contratto a tutele crescenti? Restano quasi tutti i contratti che ci sono stati
finora: dall’apprendistato ai contratti a termine (senza causale, prorogabili
fino a 5 volte e per una durata massi ma di 36 mesi), dallo staff leasing alle
partite Iva. Secondo lo schema di decreto che il governo ha presentato in
Parlamento vengono cancellate solo le associazioni in partecipazione e il job
sharing. Dal 2016, inoltre, non potranno sopravvivere i falsi contratti di
collaborazione a progetto, quelli cioè che nascondono un lavoro subordinato. In
questo caso il lavoratore potrà farsi riconoscere dal giudice il diritto alla
trasformazione in contratto a tutele crescenti. Negli altri casi (amministratori
o dove lo prevede il contratto, per esempio nel caso dei call center) il
contratto di collaborazione sopravviverà. Stessa cosa nel pubblico impiego dove
continueranno ad esserci i co.co.co
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