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venerdì 6 luglio 2012

Il piano del lavoro di Di Vittorio 1949

IL 4 OTTOBRE 1949, AL SECONDO CONGRESSO DELLA CGIL,GIUSEPPE DI VITTORIO LANCIÒ DA GENOVA L’IDEA DI UN «PIANO ECONOMICO E COSTRUTTIVO» DA PROPORRE «al popolo italiano». Idea che fu poi messa a punto nella Conferenza economica tenuta a Roma nel febbraio 1950. Era così nato il Piano del lavoro. Tre le direttrici del Piano: energia, agricoltura, edilizia. E cioè: costruire centrali idroelettriche per avere più energia disponibile, sia per l’apparato produttivo che per le case degli italiani. Realizzare opere di bonifica e di irrigazione, per accrescere l’estensione delle terre coltivabili e coltivate. Costruire case popolari, scuole, ospedali. Insomma, innescare un processo di sviluppo che massimizzasse l’uso delle risorse date, trascinando con sé anche l’industria, creasse occupazione e migliorasse le condizioni di vita dei lavoratori. Una storia vecchia? Certo, molte cose sono cambiate, in Italia e nel mondo, nei sessant’anni che ci separano dalla geniale intuizione di Di Vittorio. Ma il fatto stesso che la Cgil, nel vivo di una prolungata crisi economica di dimensioni globali, abbia elaborato oggi la bozza di un nuovo Piano del lavoro e abbia deciso di avviare su di essa una discussione ampia e aperta, ci dice che quella idea torna ad avere una sua indiscutibile attualità. Ovviamente, tra i problemi che Di Vittorio si proponeva di affrontare allora col suo Piano e quelli che stanno ora di fronte al nostro Paese vi sono grandi differenze. Innanzitutto, la crisi economica fatta di disoccupazione e arretratezza che travagliava allora l’Italia si configurava come un’incapacità, almeno apparente, del Paese a ripartire dopo i gravissimi colpi subiti con la guerra. Oggi, invece, siamo innanzitutto di fronte all’incapacità di ritrovare un ruolo proficuo dentro alla nuova divisione internazionale del lavoro, figlia della globalizzazione. In secondo luogo, nel dopoguerra il soggetto principe della politica economica era lo Stato-Nazione, mentre oggi i nostri problemi possono essere concepiti e affrontati solo in una dimensione europea. Ciò detto, il perdurare stesso della crisi attuale riporta nuova attenzione e nuovo interesse verso una delle proposte di maggior respiro che siano mai state avanzate per dare una direzione razionale alla nostra vita economica. Su questa base, l’associazione Casa Di Vittorio presieduta dalla senatrice Baldina, figlia del grande sindacalista ha organizzato tempo fa all’Università di Foggia un convegno intitolato Storia e attualità del Piano del lavoro. Si può fare a meno di una strategia europea di sviluppo perl’Italia e perilSud?. Dal convegno è nato un libro, ora pubblicato da Donzelli (Crisi, rinascita, ricostruzione, pp. 128, euro 25), che consente di rileggere il Piano nelle sue diverse implicazioni. Passando dagli anni Cinquanta a oggi attraverso quattro livelli. Il primo livello è costituito dal testo delle relazioni, oggi quasi introvabili, tenute allora da Di Vittorio, a Genova e a Roma. Il secondo dalle analisi (di Giuseppe Berta, Piero Craveri e altri) che collocano il Piano nel suo contesto storico. Il terzo da una tavola rotonda coordinata da Fabrizio Barca, con Marco Magnani, Renato Soru e altri in cui il Piano viene riesaminato insieme ai problemi dell’oggi. Il quarto è l’introduzione, già anticipata su queste colonne il 13 giugno, in cui Barca, che nel frattempo è divenuto ministro della Coesione territoriale, rivisita e attualizza l’idea stessa di programmazione. A differenza di Barca, Di Vittorio non era un economista, ma, senza aver probabilmente mai letto una riga di Keynes, aveva intuito che la disoccupazione e la mancanza di investimenti erano in qualche modo due facce della stessa medaglia: un insufficiente impiego delle risorse potenzialmente disponibili. E che quindi (e qui c’è forse un influsso del New Deal rooseveltiano) la spinta dell’intervento pubblico era necessaria per far ripartire la macchina dello sviluppo. D’altra parte, il Piano rispondeva anche alla duplice ossessione politica di Di Vittorio: tenere uniti i lavoratori e tenere unito il Paese. Due obiettivi, a dir poco, ancora attualissimi.




Fernando Liuzzi FIOM



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